Decine di coloni israeliani hanno assaltato il villaggio palestinese di Kafr Malik, vicino a Ramallah. Hanno incendiato tutto ciò che trovavano. E’ intervenuto l’esercito che ha sparato contro gli abitanti del villaggio attaccato: tre arabi uccisi, altri sette feriti. L’Idf (Israel Defence Forces), come sono chiamate le forze armate, ha anche arrestato cinque coloni ebrei, rilasciati la mattina dopo senza capi d’accusa.
E’ cronaca quotidiana nella Cisgiordania occupata, superata da eventi più grandi: lo scontro d’Israele con l’Iran, le grandi cifre del massacro di Gaza, con le potenze regionali e globali in negoziato perenne per raggiungere una tregua. Kafr Malik è come un caso di cronaca nera: viene dopo i grandi fatti internazionali, sempre che ci sia spazio nell’impaginazione di un giornale o nel palinsesto di un tg. Sullo scontro l’Idf non ha neanche aperto un’inchiesta.
Il presidente israeliano Isaac Herzog dice sempre che le sue forze armate sono le più etiche del mondo. Posto esista un esercito in guerra con tali qualità,vedendo ciò che fanno in Cisgiordania e ancor più a Gaza, c’è da dubitare delle parole del presidente. Ma come Bruto, Herzog è un uomo d’onore, per parafrasare l’orazione di Antonio in morte di Cesare.
In questi 21 mesi di combattimenti il bilancio dei morti di Gaza non ha mai cessato di crescere, sollevando l’orrore internazionale. Le autorità israeliane hanno sempre accusato i media di usare le fonti inattendibili di Hamas. Un paio di giorni fa il quotidiano Ha’aretz ha pubblicato una lunga inchiesta fra i soldati israeliani impiegati a Gaza.https://www.haaretz.com/israel-news/2025-06-27/ty-article-magazine/.premium/idf-soldiers-ordered-to-shoot-deliberately-at-unarmed-gazans-waiting-for-humanitarian-aid/00000197-ad8e-de01-a39f-ffbe33780000 . Sono loro che raccontano di ricevere dai comandanti l’ordine di sparare sulla folla di affamati che ogni mattina nel Sud della striscia si presenta alla Gaza Humanitarian Foundation, nella speranza di ricevere cibo. Sparano su di loro anche quando sono a distanza di sicurezza; sparano con i cannoni e le mitragliatrici pesanti dei carri armati, con i mortai e con i fucili di precisione dei cecchini. Sono 500 i morti da inizio maggio, uccisi mentre cercavano di mangiare.
Falso, è stata la risposta dell’Idf. Senza offrire alcuna spiegazione del perché lo sia. Gli unici a dare ancora dignità alle forze armate d’Israele, un esercito di popolo, sono quei soldati che hanno denunciato, non dimenticando di essere cittadini. E’ amaro che gli aiuti siano stati sospesi non per il massacro quotidiano ma perché uno dei ministri estremisti del governo Israeliano ha sostenuto che Hamas s’impadronisce degli aiuti.
E’ molto peggio, molto più caotico, e Israele ne condivide le responsabilità: Gaza è diventata Gazastan, una specie di Somaliland incontrollabile. Chi decide dove vanno i pochi aiuti che passano, sono le bande armate delle famiglie, le tribù. Nel Nord sono più efficienti, nel Sud c’è il clan beduino degli Abu Shabab, ex Isis, che in passato controllava i tunnel attraverso i quali dall’Egitto entrava di tutto, armi per Hamas comprese. Il clan ora è armato da Israele. Queste famiglie hanno obiettivi diversi da Hamas, non sono alleate né nemiche: a quest’ultimo passano una quota di cibo che serve per sfamare i suoi miliziani.
Donald Trump ha garantito che entro la prossima settimana imporrà una tregua a Gaza. Il premier israeliano dovrebbe andare a Washington per stabilirne i dettagli. Ma quale futuro avrà, in questo caos nel quale Hamas e il governo israeliano combattono guerre dagli obiettivi irrealizzabili, e le famiglie armate si curano dei loro affari?
Lo storico americano-palestinese Rashid Khalidi ammetteva che “a causa della natura della storia ebraica, una strategia di violenza indiscriminata” è sempre stata “politicamente controproducente” per la causa palestinese. L’attacco orribile di Hamas il 7 ottobre 2023 – sebbene frutto malato di 58 anni di occupazione – ne è una evidente prova: per gli israeliani è stato un secondo Olocausto. Non solo giustifica ma continua a legittimare la disumana azione militare su Gaza. Anche dopo 21 mesi di totale distruzione della striscia, quasi 60mila morti e due milioni di affamati chiusi in una gabbia.