Alcune settimane fa il Weekend del Financial Times dedicava l’articolo di copertina alle vite parallele di Henry Kissinger e a Zbigniew Brzezinski. Due giganti della diplomazia americana: repubblicano e realista il primo, democratico e idealista il secondo. Entrambi hanno definito un’epoca ma non sono stati i soli: George Shultz, James Backer o John Kerry non furono da meno.
Nessuno di loro avrebbe incontrato Vladimir Putin battendosi il pugno sul cuore, in segno deferente di stima; né, prima di aprire una trattativa, avrebbe concesso ai russi i territori ucraini occupati: l’arma negoziale più forte in mano agli aggrediti, quella che si fa pesare nell’ultimo miglio di un accordo.
Non è l’esperienza ma la fedeltà al capo che ha guidato Donald Trump nelle scelte della squadra che dovrebbe guidare l’America nel mondo: i segretari di Stato e Difesa, i responsabili delle agenzie d’intelligence, il consigliere per la sicurezza nazionale (appena silurato ma nominato ambasciatore all’Onu, un’altra carica importante).
Tuttavia nessun profilo risponde alle caratteristiche della diplomazia di Trump, quanto Steve Witkoff, immobiliarista di New York, digiuno di politica estera: un clone del presidente. Witkoff è il negoziatore che si è battuto il pugno sul petto davanti a Putin. Ma è anche l’inviato speciale in Medio Oriente, cioè nel conflitto di Gaza; e quello che sta costruendo un accordo sul nucleare iraniano: quasi uguale a quello che c’era già e che Trump cancellò nel 2018, convinto dall’israeliano Benjamin Netanyahu. Esclusa la questione dei dazi, non c’è questione internazionale che Witkoff non sia chiamato a dirimere.
Di queste la più calda è l’Ucraina: la più vicina a qualche risultato. O la meno lontana. E’ stato un errore affermare che la Crimea e le altre regioni occupate siano ormai russe. Ma è la realtà. Ciò che rende questo conflitto più risolvibile di quello fra israeliani e palestinesi, è proprio questo: dopo tre anni, il campo di battaglia dice che Putin non conquisterà Kyiv e Zelensky non libererà la Crimea. La questione non è più territoriale ma politica: dopo il cessate il fuoco, quale sicurezza l’Ucraina avrà perché prima o poi la Russia non riprenda la guerra; o in tempo di pace non alteri il quadro politico ucraino come faceva prima del 2014.
L’accordo con gli americani sulle risorse minerarie del paese, non è sufficiente. Non ci sono garanzie di difesa militare, nessun impegno americano. E’ difficile immaginare cosa sia oggi la Nato e una credibile difesa europea è ancora lontana. Putin potrebbe facilmente riprendere a mestare, usando qualche oligarca ucraino a disposizione, senza toccare gli interessi economici americani.
Perché per le sue mire non esiste asset migliore dell’America di Donald Trump. Il compromesso territoriale è la soluzione realistica del conflitto ucraino. Henry Kissinger l’avrebbe approvata ma Zbigniew Brzezinski no perché comporta una questione morale: per la prima volta dal 1945 in Europa sarebbe riconosciuta la conquista territoriale di una nazione su un’altra. Verrebbe meno un pilastro dell’ordine e della sicurezza internazionali.
Anche questa è politica, non solo etica. Cadrebbero le barriere che ancora impediscono a Xi Jinping di aggredire Taiwan, a Erdogan di conquistare il Nord della Siria, a Netanyahu di annettere Cisgiordania e Gaza, a ogni autocrate ambizioso di distorcere l’ordine internazionale.
Per costoro Donald Trump è il partner perfetto. Il presidente sta smantellando le strutture che garantivano la presenza americana nel mondo e rafforzavano le ragioni di quella presenza: la promozione democratica. Voice of America, Radio Free Europe/Radio Liberty, Radio Free Asia; la National Endowment for Democracy, il National Democratic Institute e molte altre meno conosciute ai più ma importanti per difendere quel che resta della democrazia nel mondo.
Marco Rubio, che da segretario di Stato pratica il contrario di quello che votava da senatore repubblicano, sta smantellando la presenza diplomatica americana in Africa: come cedere, chiavi in mano alla Cina, l’influenza su un intero continente. Usaid, l’agenzia per lo sviluppo internazionale, forse la più detestata da MAGA, aveva offerto una contro-narrativa alla propaganda dei regimi illiberali, garantendo contemporaneamente aiuto umanitario. E’ dunque molto più dell’Ucraina ciò che è in gioco nei 1.359 giorni che mancano alle prossime elezioni presidenziali americane.