Il Grande Campo di Battaglia

Ein Zivan, Alture del Golan – “Forse è la fine di un’era”, dice Benny Gantz, osservando la Siria a circa un chilometro. Quneitra, appena oltre la frontiera qui sul Golan, è alla fine della Valle delle Lacrime. Fu il campo di battaglia della guerra del 1973: migliaia di carri armati siriani e israeliani in tre giorni di scontri.

Quante altre guerre dovranno vedere le frontiere di questa regione? Gantz, il leader dell’opposizione israeliana al governo di Bibi Netanyahu, è un esperto del settore: ha combattuto in Libano, è stato al comando delle forze armate e ministro della Difesa. “Dobbiamo guardare con ottimismo” a quello che sta accadendo oltre la frontiera, dice. Damasco è a 60 chilometri. “Ma dobbiamo anche badare alla nostra sicurezza”.

Ein Zivan, dove è venuto Gantz, è un posto di osservazione, un sacrario e un kibbutz: il luogo abitato israeliano più vicino alla Siria. Il rombo dei bombardieri dimostra che Israele sta già prendendo le sue precauzioni. Vanno a colpire le postazioni dell’esercito del regime di Bashar Assad, gli arsenali, probabilmente anche i bunker dove erano stivate le armi chimiche che il regime aveva usato contro il suo popolo. Gli israeliani non lo fanno per degradare una forza che non esiste più ma per impedire a quella nuova di impadronirsene. Forse il volto moderato che oggi esibisce Ahmad Husayn al Shara’a, è quello vero: il capo di Hayat Tahrir al-Sham si fa chiamare col suo nome, dopo aver abbandonato quello jihadista da battaglia. Ma è presto per esserne certi.

Quel partito, un tempo parte della galassia qaidista, è il principale ma non l’unico vincitore di questa rivoluzione siriana. Ci sono le milizie del Sud, tra i confini d’Israele e Giordania; molte altre sono quelle del Nord. Villaggi drusi dalle comunità armate fino ai denti, sono al di qua del confine israeliano e al di là di quello siriano. Come i drusi del Libano di Walid Jumblat, anche gli altri tendono a stare dalla parte di chi governa. Ma sono anche combattenti formidabili. In Israele alcuni di loro sono generali delle forze armate. E’ la legge della sopravvivenza per ogni minoranza.

In una regione di stati falliti, la Siria è l’esempio più lampante. Un paio di giorni fa una milizia di estremisti sunniti aveva attaccato la base dei caschi blu di Undof, la forza d’interposizione Onu, visibile a occhio nudo da qui. Gli israeliani avevano risposto al fuoco, riportando la calma.

Ma è per questo che per la prima volta dalla guerra del 1973, Israele ha deciso di occupare la fascia di sicurezza profonda tre chilometri e lunga quanto i 100 chilometri di frontiera. Era il prodotto del cessate il fuoco del 1973. Sul monte Hermon gli israeliani hanno anche preso le postazioni sotto le loro, che i soldati siriano hanno abbandonato sabato scorso.

Il gigante di roccia calcarea alto 2.800 metri non sovrasta solo la Valle delle Lacrime e il confine tra due paesi in guerra. Domina Israele, Siria, Libano e Giordania. Dalle sue cime illuminate dal sole e già spruzzate di neve, la geografia del Levante è racchiusa in un solo sguardo: i suoi confini contesi, le alture strategiche, i luoghi sacri di tre religioni. E le sorgenti di fiumi dalla portata modesta, ma quaggiù fondamentali. Ariel Sharon sosteneva che non era il petrolio ma l’acqua la causa principale delle guerre mediorientali.

Il rombo senza sosta dei caccia-bombardieri israeliani, invisibili, serve a ricordare che le alture del Golan e tutto quello che appare dalla cima dell’Hermon, è una grande zona di guerra: attiva o potenziale. La caduta di Bashar Assad, quasi 14 anni dopo l’inizio delle rivolte contro il regime, dimostra che quel processo politico chiamato “primavere arabe” non è finito.

I dittatori, gli emiri e i rais sopravvissuti a quella bufera contro i poteri immutabili del Medio Oriente, tendono a definirle un episodio. Invece sono un processo destinato a durare a lungo, anche decenni, fra alti e bassi. Non sappiamo se mai diventerà democratico: non è nella natura politica della regione. Quando l’Occidente ha avuto la presunzione d’imporre il suo modello politico, è stato un disastro. Oggi perfino a Gerusalemme Bibi Netanyahu ha capito che declassare le regole della democrazia israeliana, è utile per alimentare il suo potere.

A Ein Zivan è venuto anche lui. Come Ganz, crede che gli avvenimenti siriani siano un’opportunità storica. Naturalmente ne rivendica le cause: facendo la guerra a Hezbollah e Iran, ha indebolito i due protettori di Assad, insieme alla Russia. Il che è vero ma non era intenzionale, come invece vuole far intendere il premier. Le vicende siriane sono piuttosto una conseguenza fortuita: non necessariamente anche fortunata, almeno fino a quando il nuovo potere siriano pacificherà il paese. Il prossimo passo al quale pensa Netanyahu è colpire l’Iran, indebolito. Sarà però Donald Trump a deciderlo. La vista dall’Hermon tanto spendente da sembrare che ignori le guerre delle quali è testimone, non arriva così lontano.