Per il terzo anno consecutivo siamo a 100 secondi dall’Armageddon nucleare: lo garantisce il Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago. Evidentemente non è una buona notizia, nell’attesa che Vladimir Putin decida se invadere l’Ucraina o lasciare ancora per un po’ le cose come stanno.
Nel giornalismo di oggi scegliere volutamente un tema che non produce masse di”click” e “like”, è una forma di suicidio assistito. Per capire cosa intendo suggerisco “Mercanti di verità – La grande guerra dell’informazione” (Sellerio) di Jill Abramson, ex direttrice e prima donna ad occupare quel ruolo al New York Times.
Parlare di armi nucleari non produce “like” e garantisce pochi “click”: ne ho un’esperienza diretta. A meno che il tuo direttore non abbia fatto con te le elementari, il servizio militare, o non sia un parente, è difficile pubblicare un articolo su questo tema.
Non esiste giornalista al quale non faccia MOLTO piacere avere una vasta platea di lettori: cantanti, attori e giornalisti hanno la stessa attrazione per l’esibizionismo. Ma a costo di annoiare il lettore, o di perderlo, tornare a parlare di armi nucleari è una questione etica per chi possiede una tribuna dalla quale parlare alla gente. Lo aveva spiegato alcuni anni fa Stephen Hawking: “Abbiamo il dovere di allertare il pubblico sui rischi non necessari con i quali viviamo ogni giorno, e sui pericoli che intravvediamo se governi e società civili non agiscono”.
Come ogni anno a gennaio, il Bulletin diffonde il Doomsday Clock, l’orologio del giorno del giudizio che ci dice quanto dista da noi l’apocalisse nucleare. Anche se sono molte di meno rispetto a un trentennio fa, esistono ancora più di 8mila testate nucleari negli arsenali di nove paesi: Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord (vi avevo dedicato il blog della settimana scorsa: “Kiev val bene una Bomba”).
Il Doomsday Clock è ovviamente una metafora: da 75 anni è aggiornato da alcuni dei migliori scienziati del mondo. Quest’anno vi hanno partecipato 11 Nobel. Tra i fondatori nel 1947 c’erano Albert Einstein, Robert Oppenheimer e gli altri scienziati che contribuirono al Manhattan Project: le bombe di Hiroshima e Nagasaki che fermarono la guerra ma fecero uscire il genio del male nucleare dalla lampada nella quale non sarebbe mai più rientrato.
Posso orgogliosamente dire che da 11 anni, da quando esiste Slow News, ogni gennaio posto lo stato dell’orologio del giorno del giudizio. Essere da tre anni a 100 secondi dal disastro potrebbe spingerci a qualche forma di ottimismo. Questo invece, spiegano gli scienziati, “in nessun modo suggerisce che la situazione internazionale si sia stabilizzata. Al contrario, le lancette rimangono le più vicine all’apocalisse, come non sono mai state, perché il mondo resta bloccato in una fase estremamente pericolosa”.
Come aggiunge Sharon Squassoni, co-presidente del comitato del Bulletin che regola le lancette, questo rimane “un momento pericoloso che non porta stabilità né sicurezza. Gli sviluppi positivi del 2021 hanno fallito nel contrastare le tendenze negative di lungo termine”.
Il soggetto principale è da sempre la minaccia del nucleare militare. Ma col tempo il Bulletin si è adattato ai mutamenti del tempo: alle ulteriori minacce causate dal clima e ora anche dalla pandemia. Il Covid, per esempio, “è una vivida illustrazione dell’impreparazione della comunità internazionale” nell’affrontare le emergenze comuni.
Secondo le teste d’uovo del Bulletin, il rischio nucleare, i cambiamenti climatici, le “tecnologie distruttive” e il Covd-19, sono anche esacerbati “da un’atmosfera d’informazione corrotta che minaccia un processo decisionale razionale”.
Per chi pratica un giornalismo quanto meno onesto, è confortante che scienziati di valore giudichino le falsità che corrono sulla rete pericolose quanto bombe atomiche e pandemia. Le “verità alternative”, come le aveva chiamate la portavoce di Donald Trump (cioè le grandi opportunità offerte dal web per raccontare balle ed essere creduti), hanno un certo grado di parentela con l’ansia del “click” e del “like”.
Che fare, dunque? Russia e Usa dovrebbero accordarsi per limitare il ruolo delle armi nucleari nei loro sistemi militari; ridurre i bilanci della Difesa; riprendere il dialogo fra Russia e Nato; la Corea del Nord dovrebbe annunciare una moratoria dei lanci missilistici; Usa e Iran dovrebbero ripristinare l’accordo sul programma nucleare del secondo; governi, imprese e media dovrebbero cooperare per combattere su Internet la “misinformation” (notizie sbagliate) e la “disinformation” (notizie volutamente false).
Naturalmente sappiamo che niente di tutto questo si realizzerà in un tempo misurabile: quando escono dal loro ambito, gli scienziati sanno parlare di valori, non di politica.