I palestinesi chiamavano Yahya Ayyash “l’Ingegnere”: in effetti alla Birzeit University, vicino a Ramallah, si era laureato a pieni voti in ingegneria elettronica. Gli israeliani avevano però fatto un’aggiunta al suo nom de guerre: “Ingegner morte”. Ayyash era uno dei capi delle Brigate Ezz-ad-Din al-Qassam, l’ala militare di Hamas. Con le sue mani aveva costruito le devastati bombe di almeno sette attentati.
Gli israeliani lo individuarono nel Nord della Striscia di Gaza, a Beit Lahiya. Lo Shin Bet, i servizi segreti interni, riuscì a mettere una micro-bomba nel suo cellulare. La mattina del 5 gennaio 1996, quando Ayyash rispose a una chiamata, il telefono esplose, uccidendolo all’istante. Era un momento critico della trattativa di Oslo. Erano passati due mesi dalla morte di Yitzhak Rabin. I servizi di sicurezza dell’Autorità Palestinese stavano trattando con Ayyash e Hamas perché lasciassero una possibilità alla diplomazia.
Quaranta giorni più tardi, terminato il lutto, iniziò la prevedibile vendetta. Tra febbraio e marzo ci furono quattro attentati suicidi, morirono 78 israeliani; Oslo fu di nuovo congelata e a fine maggio Shimon Peres perse elezioni che avrebbe dovuto facilmente vincere contro Bibi Netanyahu.
Shin Bet, Mossad o reparti speciali delle Forze armate, quando gli israeliani stabiliscono un obiettivo, lo eliminano appena finisce nel loro mirino. La vicenda di Yahya Ayyash è uno dei tanti esempi. Non si analizzano le probabili conseguenze né i possibili danni collaterali. E’ una regola antica: occhio per occhio, dente per dente. Dall’una e dall’altra parte. Seguendo la vicenda da tanti anni – sul campo e studiandola – mi sono convinto che fra israeliani e palestinesi, sotto le ceneri di risorgimento nazionale e religione brucino i tizzoni infuocati della faida.
Anche Mohsen Fakhrizadeh, scienziato, generale e zar del nucleare iraniano, era da tempo un obiettivo degli israeliani. Ma decidendo di eliminarlo una volta individuato, questa volta Bibi Netanyahu ha attentamente studiato le possibili conseguenze. Forse sono queste ultime, più del principio biblico della rivalsa contro Fakhrizadeh, ad aver deciso l’eliminazione dell’iraniano: provocare il regime di Teheran, spingerlo a una vendetta contro Israele o gli Stati Uniti, affinché per l’amministrazione Biden sia politicamente impossible rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano e aprire una trattativa più ampia.
Nel bene o nel male, a seconda dei punti di vista, Bibi Netanyahu sa guardare lontano: non sarebbe al potere da così tanti anni se non avesse qualità istrioniche. Lui e Donald Trump sono ideologicamente molto simili: ma il secondo è imbarazzante, il primo efficace. E’ per questo che dura di più.
Ma sulla sua strada Bibi ha trovato gente che per acume politico non è meno dotata degli israeliani: gli iraniani. La vendetta per l’uccisone di Fakhrizadeh, dice il presidente Hassan Rouhani, arriverà “al momento opportuno e in modo appropriato”. Cioè non ci sarà. Almeno fino a giugno, quando ci saranno nuove elezioni. Se torneranno al potere i falchi, la partita alla fine la vincerà Netanyahu.
Ma quale partita? Il grande scontro mediorientale? Sia pure in formato streaming, questa settimana si è svolta la sesta edizione di MED, i dialoghi mediterranei organizzati da Ispi e Farnesina. Ad uno degli incontri ha partecipato Mohammad Zarif, il ministro degli Esteri iraniano. Oltre la scontata retorica, Zarif (che a giugno comunque lascerà l’incarico) ha ricordato che tutti quelli che vivono in quella regione alla fine lì dovranno continuare a vivere. Il mondo è cambiato, è più interconnesso e occorre da parte di tutti “una trasformazione cognitiva”.
Gli iraniani stanno sviluppando un programma missilistico capace di raggiungere ogni nemico nella regione. Le spese militari saudite sono enormemente superiori a quelle iraniane, anche per dare una risposta immediata all’arsenale balistico del grande nemico (scientificamente l’Arabia Saudita è indietro di 30 anni rispetto agli iraniani). E per quanto tempo Israele dovrà continuare ad essere una Sparta tecnologica, protetta dalla sua superiorità strategica nella regione? Per quanti decenni ancora gli ingegneri del Medio Oriente si dedicheranno a costruire bombe?
Occorre dunque quella “trasformazione cognitiva” invocata da Zarif: sebbene a questa rivoluzione copernicana il regime che rappresenta concorra molto poco, quanto gli altri. L’alternativa al gioco a somma zero – io vinco tu perdi, una forma di faida leggermente più evoluta – sarebbe un grande Congresso di Vienna sul Mediterraneo: una conferenza per la sicurezza regionale nella quale gli israeliani ascoltino le ragioni dei palestinesi e viceversa; sauditi con iraniani, iraniani con israeliani; libanesi e siriani; sauditi e Qatar; i libici il cui petrolio può garantire alle tribù in lotta ricchezza per tutti, per un buon numero di anni. Possibilmente anche sciiti e sunniti, insieme per risolvere il loro scisma millenario. Vi sembra che stia descrivendo una specie di film alla Frank Capra? E’ vero, è un’illusione buonista. Stavo solo cercando un finale per un post che non può averne.
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Allego un articolo sull’Oman pubblicato sul sito del Sole24Ore