Verso il voto – La sindrome dei Redskins

redskinsSecondo una consuetudine washingtoniana, quando la squadra di football della città perde in casa la domenica precedente al voto, due giorni più tardi perde anche il presidente uscente che si è ricandidato. In questo caso, Donald Trump. In teoria Trump dovrebbe preoccuparsi: la Washington Football Team, nuovo nome senza fantasia di quelli che fino all’anno scorso erano i gloriosi ma politicamente scorretti Redskins, è una delle tre peggiori squadre del campionato. In pratica il presidente può stare tranquillo: questa domenica la squadra non gioca, ha il suo turno di riposo.

Un tempo questa tradizione non suffragata dai fatti, avrebbe riguardato soprattutto i bookmakers. Oggi solleva le ansie dei washingtoniani e del resto degli americani che vogliono liberarsi di Trump. Da questa estate, quando la campagna è entrata nel vivo, tutti i sondaggi confermano la loro convinzione di essere maggioranza del paese. Oggi invece per far crollare all’ultimo miglio le loro certezze basta il fantasma dei Redskins, rappresentato dal profilo di un capo della Nazione dei Piedi Neri del Montana: era il logo della squadra, anche quello oggi considerato scorretto, sebbene 50 anni fa a volerlo fosse stato Walter Wetzel, allora alla guida del National Congress of American Indians.

Abbiamo forse esagerato a fare un autodafè della nostra storia in nome della correttezza politica, si chiedono ora i liberal. O questo è davvero il nuovo paese che gli americani ci chiedono di rifondare? Nella scelta del presidente conterà di più l’improvvisa crescita del Pil o la pandemia da Covid? Ancora due settimane fa i democratici avrebbero rimarcato che quella crescita calcolata dal Bureau of Economic Analysis del dipartimento al Commercio, non tiene conto degli effetti del Covid: in realtà il Pil resta al di sotto dei livelli pre-pandemia.

E a favore del fatto che probabilmente nulla determinerà il voto quanto il virus, restano i dati drammatici di morti e contagiati. Sono solo tre su oltre 3mila le contee che non hanno mai riportato un caso di Covid: Esmeralda Nevada; Loving, Texas; Kalawao, Hawaii, un tempo colonia per lebbrosi. Devono essere stati i loro nomi originali a salvarli perché la gestione dell’amministrazione Trump della pandemia è stata disastrosa.

Eppure i democratici sono letteralmente terrorizzati. D’improvviso temono di passare un’altra serata come quella di quattro ani fa, quando Hillary Clinton era una certezza, per quanto l’amassero in pochi. Siamo sicuri – ora si chiedono – che gli americani abbiano capito che l’uomo che prometteva di prosciugare “la palude di Washington” non era un Robin Hood ma lo sceriffo di Nottingham: “un uomo con appetiti, non ideali”, come sostiene Martin Wolf del Financial Times? I 36 anni di Joe Biden passati in Senato sono una garanzia di esperienza o il segno di una deprecabile inamovibilità del sistema?

Che sia Trump o Biden per i prossimi quattro anni, alcuni storici americani sostengono che gli Stati Uniti rischiano di diventare “the sick man of the West”, la versione del XXI secolo di quello che nei due secoli precedenti fu l’impero ottomano: un sistema incapace di modernizzarsi.

Era un motivo d’orgoglio affermare che quella americana è la più antica Costituzione democratica del mondo. Ma c’è un altro lato della medaglia: quella Carta è stata scritta alla fine del XVIII secolo quando gli americani erano tre milioni più gli schiavi; le dimensioni del paese erano un quinto di quello che sono adesso; e i suoi abitanti erano possidenti, contadini e coloni di frontiera. Il Secondo Emendamento ratificato nel 1791, quattro anni dopo la Costituzione, consente agli americani del 2020 di organizzare milizie locali, armate come i parà della 101^ aviotrasportata nella guerra in Iraq.

Thomas Jefferson aveva suggerito agli americani di cambiare Costituzione ad ogni generazione. Non è stato ascoltato. Trump o Biden, il compito del nuovo presidente sarà di rendere gli Stati Uniti un paese più moderno. Secondo me il democratico è più attrezzato del repubblicano. Ma io non sono americano. Sebbene sia appassionato di quel paese, mi ritenga un sostenitore dell’Alleanza Atlantica e sin da studente sia un fan dei Washington Football Team. Fu il logo dei Piedi Neri a farmelo scegliere: avessero avuto sul casco il profilo del generale Custer, avrei scelto i New England Patriots, guadagnandone in soddisfazioni sportive.

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