Non occorre essere diplomatici, esperti di questioni internazionali, frequentare think-tank, parlare l’inglese e leggere il mensile “Foreign Affairs” per sapere che le cose nel mondo non vanno un granché bene. Trump, Putin, Erdogan, la Libia, l’Iran, la UE e le democrazie impacciate; il coronavirus che in un attimo potrebbe passare dalla dimensione medica a quella politico-globale. E poi i mutamenti climatici che sono politica dal loro insorgere; la questione migranti, l’ingiusta distribuzione della ricchezza economica. Un tempo ignorata, la parola “geopolitica” è fra le più cliccate sul web.
Puntuale cartina di tornasole delle incertezze collettive, anche quest’anno il Bulletin of the Atomic Scientist ha reso noto a che punto è la lancetta dell’ “Orologio del Giorno de Giudizio”: siamo a 100 secondi dall’Armagedon nucleare. In 73 anni mai così vicini al disastro. Tradizionalmente, con annuale e crescente preoccupazione, Slow News ne riporta deliberazioni e preoccupazioni.
Un passo indietro. Il Bulletin era stato fondato nel 1945 a Chicago dagli scienziati del Progetto Manhattan. Pieni di comprensibile senso di colpa, dopo le bombe a Hiroshima e Nagasaki, i creatori di quegli ordigni decisero di dare al mondo uno strumento che lo tenesse aggiornato sull’ “Età Nucleare” che il loro genio aveva inaugurato. Due anni più tardi crearono il Doomsday Clock che stabiliva di anno in anno a quale distanza l’umanità fosse dal disastro nucleare. Era ed è un’unità di misura psicologica ma calcolata su come la politica mondiale e in particolare le due superpotenze nucleari, Usa e Urss, si comportavano.
Nel 1947, all’inizio della Guerra Fredda, la distanza dall’Armageddon era di sette minuti. Nel ’53, quando gli americani fecero esplodere la prima bomba termonucleare molto più potente di quelle lanciate sul Giappone, e i sovietici fecero brillare per la prima volta un ordigno atomico, il Doomsday Clock scese a due minuti. Fra alti e bassi le lancette segnarono tutta la Guerra fredda senza però arrivare così vicino alla mezzanotte. Il punto più distante fu segnato nel 1991: 17 minuti. Era caduto il Muro di Berlino, Gorbaciov, Eltsin, Reagan e Bush si erano impegnati nella riduzione degli arsenali nucleari. Quell’anno fu firmato lo START I, il primo trattato sulla riduzione delle armi strategiche.
Nel 2017 il numero delle testate nel mondo era sceso al suo punto più basso, 9.435. Usa e Russia continuano a possederne il 93%. Le altre appartengono a Cina, Francia, Gran Bretagna, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord. Comunque quelle 9mila e passa bastavano e avanzavano per distruggere qualche centinaio di volte l’umanità. Ma nel 1986, più o meno all’inizio della Perestroika, gli arsenali avevano raggiunto il massimo storico di 64.449 ordigni.
Costatando il rapido e caotico logoramento delle relazioni internazionali, nel 2018 il Bollettino degli scienziati era riprecipitato a due minuti, come nel 1953; è rimasto uguale nel 2019 e quest’anno è andato ancora più vicino alla mezzanotte: a un minuto e 40 secondi. “Abbiamo deciso di esprimere in secondi – non ore e nemmeno minuti – quanto il mondo sia vicino alla catastrofe”, spiega Rachel Bronson, la presidente del Bollettino. “Ora siamo di fronte a una vera emergenza: uno stato degli affari mondiali assolutamente inaccettabile che ha eliminato ogni margine d’errore o di ulteriore ritardo”. In senso non solo figurato, significa che in un mondo in così costante tensione, cento secondi non basterebbero per correggere un errore umano, i calcoli sbagliati di un computer, un’informazione volutamente falsa.
Perché il problema non sono più solo gli arsenali: per quanto il gelo sul negoziato nucleare fra Use e Russia, le imprevedibilità coreane, la perenne ostilità fra India e Pakistan, le ambizioni iraniane e il caos mediorientale, siano una grave minaccia. Intervistato qualche giorno fa dalla BBC, Mikhail Gorbaciov continuava a definire le armi nucleari “una minaccia colossale”. Nel 1986 a Reykyavìk lui e Ronald Reagan erano arrivati a un passo dalla distruzione dei loro arsenali nucleari.
Da qualche anno però, nel loro bollettino gli scienziati di Chicago aggiungono fra i pericoli anche i mutamenti climatici e l’egoismo dei governi nell’affrontarli. E da quest’anno è stato introdotto un terzo elemento che sommato agli altri due, ci ha portati a cento secondi dal disastro: la disinformazione cibernetica. “Nell’ultimo anno molti governi hanno condotto campagne di disinformazione per seminare diffidenza nelle istituzioni e fra le nazioni, minando gli sforzi nazionali e internazionali di promuovere la pace e proteggere il pianeta”.
Le preoccupazioni della quindicina di saggi di Chicago quest’anno sono state condivise da “Gli Anziani”, l’organizzazione globale e non governativa creata nel 2007 da Nelson Mandela, su un’idea di Peter Gabriel e Richard Branson: ne fanno parte per cooptazione ex capi di stato e di governo, Nobel per la pace, ex segretari Onu.
Difficilmente vi saranno mai ammessi Trump, Putin, Erdogan, Orban, Netanyahu, Bolsonaro, al-Sisi, Khamenei, Mohammed bin Salman, Modi o i generali pakistani, il pingue Kim di Pyongyang e molti altri. Restando aggrappati ai cento secondi che ci restano, è più semplice compilare la lista di chi, fra i leader di questo inizio di XXI secolo, meriteranno l’ammissione al circolo dei saggi.