Se l’Iran si vendicherà, come risposta della risposta gli Stati Uniti hanno già individuato 52 obiettivi da distruggere, scrive Donald Trump su Twitter: molti di questi, aggiunge, “importanti per la cultura iraniana”. Come in una faida tribale. Peggio: come i talebani che hanno distrutto i due Buddha millenari di Bamiyan e l’Isis a Palmyra. Non è necessario aver superato l’esame di diritto internazionale per capire che la minaccia del presidente degli Stati Uniti si configura come crimine di guerra.
E’ solo l’ultima bizzarria del Califfo di Washington. Poche cose quanto le sue decisioni sul Medio Oriente caratterizzano i suoi tre anni di potere. Dichiaratamente prese per districare l’America da una regione instabile – soprattutto dopo il ritorno all’autosufficienza petrolifera grazie al fracking – l’hanno invece impantanata più di prima nelle paludi della regione. Nel maggio 2017 Trump visita Riyadh convinto di avere la sintesi fra le priorità domestiche implicite allo slogan elettorale “America First” e gli obblighi di una superpotenza.
Se non fosse già convinto di essere il miglior presidente dopo Lincoln, in Arabia Saudita Trump coglierebbe le difficoltà del suo disegno. In quel vertice il presidente consegna le chiavi del Medio Oriente al principe ereditario Mohammed bin Salman, detto MbS, pericolosamente più impreparato di Trump. Con le armi americane che i sauditi avrebbero comprato per miliardi di dollari (Trump mostra la gigantografia del super-assegno di un accordo solo ipotizzato), gli Stati Uniti potranno liberarsi di ogni responsabilità. MbS avrebbe presto dato agli americani più problemi che sollievo.
Nell’aprile 2018 gli Usa annunciano il trasferimento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. Ad eccezione di qualche isola del Pacifico, tutti i paesi non hanno la loro sede a Gerusalemme: riconoscono lo Stato d’Israele ma non quella città come capitale, per gli accordi internazionali che regolano il problema dal 1948. In attesa della pace fra palestinesi e israeliani. La decisione americana allontana ancora di più il compromesso fra i due popoli. Da qualche parte della Casa Bianca giace “l’accordo del secolo”, cioè il piano di pace fra israeliani e palestinesi che Trump e suo genero Jared Kushner hanno preparato. Mancando un governo in Israele, i termini dell’accordo sono ancora sconosciuti. Ma pochi, nemmeno l’amico Bibi Netanyahu, vi fanno affidamento.
Arabia Saudita e Israele sono i principali alleati di Trump in Medio Oriente. Lo erano anche degli altri presidenti. Ma rifiutandosi di bombardare l’Iran e, al contrario, promuovendo l’accordo sul congelamento del programma nucleare di Teheran, nel 2015 Barak Obama aveva scontentato i due amici. Dopo aver offerto armi ai sauditi e l’ambasciata agli israeliani, nel maggio 2017 Trump fa loro il grande e atteso regalo: l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano firmato con Russia, Cina Ue e Onu. La motivazione reale del presidente non è la qualità dell’accordo: il JCPA, l’acronimo del Joint Comprehensive Plan of Action, è l’unico significativo successo della politica estera di Obama. L’ex presidente afro-americano è la nemesi dell’attuale.
Comunque anche Trump deluderà Bibi Netanyahu e Mohammed bin Salman, non rispondendo alle provocazioni iraniane e rifiutandosi di usare la forza. Almeno fino a sabato scorso, quando è stato ucciso Qasem Soleimaini, l’iraniano più importante dopo l’ayatollah Khamenei.
A lasciare disorientati gli amici degli Stati Uniti – e anche i nemici – lo scorso ottobre era stato l’improvviso ritiro dei militari americani dal Nord della Siria. Quella presenza era la dimostrazione plastica della potenza americana: poche centinaia di soldati la cui sola presenza bastava per proteggere i curdi, impedire il ritorno dell’Isis, fermare le mire turche e il ritorno del regime di Damasco. Come risultato, l’America ha perso la faccia, i curdi la loro terra, c’è stato un ulteriore massacro siriano, il turco Erdogan si sente invincibile e Bashar Assad è ancor più nelle mani di Vladimir Putin. Dell’America si sono persele tracce, quando non spara.
http://www.ispionline.it/it/slownews-ispi/
Allego i due commenti pubblicati sul Sole 24 Ore in questi giorni di tensione