Questo Medio Oriente

Turkish soldiers stand guard as Syrians wait behind the border fences near the southeastern town of Suruc in Sanliurfa province, September 18, 2014. Islamic State fighters besieged a Kurdish city in northern Syria on Thursday after seizing 21 villages in a major assault, prompting a call to arms from Kurds in neighbouring Turkey who urged followers to go and help resist the group's advance. The attack on the city of Ayn al-Arab, known as Kobani in Kurdish, came two days after the top U.S. military officer said the Syrian opposition would probably need the help of the Syrian Kurds to defeat Islamic State. About 3,000 men, women and children arrived at the Turkish border roughly 10 km (6 miles) from Kobani but were still waiting on the Syrian side after night fell, a Reuters witness said, as Turkish forces stopped the crowd from crossing. Kadir Celikcan/Reuters

(Una foto-capolavoro di Reuters)

Il commentatore di un’agenzia di stampa turca avanza all’Occidente una domanda legittima: perché sanzionate noi per l’invasione della Siria settentrionale (lui non la chiama invasione), e non l’Arabia Saudita per la guerra nello Yemen? O per aver ucciso e fatto a pezzi un giornalista che si limitava a criticare l’imbarazzante principe ereditario? O per molte altre ragioni plausibili?

Trovo l’obiezione sfortunatamente ineccepibile. Tra il turco Recep Erdogan e il saudita Mohammed bin Salman, detto MbS, è una gara testa a testa fra chi destabilizza con più efficienza il Medio Oriente: cioè il mondo nel quale vivono. Ma in questa competizione i concorrenti sono molti di più. Re, presidenti, primi ministri, generali o autorità religiose, sono pochi i leader di questa regione che non vi partecipano.

Perché, dopo aver messo sotto sanzioni l’Arabia Saudita per lo Yemen – la peggiore crisi umanitaria al mondo, secondo l’Onu – non punire anche l’egiziano Abdel Fattah al Sisi,  il cui regime ha assassinato Giulio Regeni e fa sparire migliaia di giovani egiziani? O il generale Khalifa Haftar, il piccolo Napoleone della Cirenaica; o i militari sudanesi che sparano ad altezza d’uomo contro i manifestanti; o tutti i generali della regione che non difendono le frontiere del loro paese ma, mestano, spiano, reprimono, tramano dentro quelle frontiere contro la loro stessa gente per preservare o conquistare potere. O, ancora, quei leader religiosi che usano la fede come clava politica?

La sanzione d’oro, anzi di platino, dovrebbe spettare a Bashar Assad.  Quando ci furono le prime manifestazioni di protesta, ha tentato di reprimerle con estrema brutalità: è una qualità di famiglia, suo padre Afez era più efficiente.  Poi ha liberato i prigionieri islamici perché prendessero la guida della lotta contro il suo regime, con l’obiettivo di delegittimare quel poco che c’era di democratico nella protesta. Le prove del ripetuto uso di gas contro il suo popolo, sono inoppugnabili.

Ora, grazie ai russi, agli iraniani, a Hezbollah libanese – e naturalmente a Donald Trump – Bashar ha vinto la guerra civile. Il bilancio del quale porta la responsabilità sono 400mila morti, 5,7 milioni di profughi all’estero e altri 6,1 milioni di sfollati interni. In un paese di poco più di 18 milioni di abitanti. Non è l’unico responsabile: ma gli altri hanno perso, Bashar ha vinto. La Siria che rimane fuori dal suo controllo è minima e di relativa importanza per non poter dichiarare vittoria.

E’ difficile che quando la Turchia si sarà fermata e il Kurdistan accetterà di essere sotto la sua influenza, Bashar cambierà. Di solito, quando vincono, i rais come lui tendono a vendicarsi, non a perdonare. Difficile che le sue famose carceri saranno chiuse; ancora più arduo che apra alle opposizioni democratiche e conceda una parte del potere mantenuto dal regime.

Ma in questo Medio Oriente è con lui che dovremo trattare, fare affari, interagire, mandare e ricevere delegazioni di ogni natura. Non sono contrario alle sanzioni ma per funzionare richiedono tempo: prima con l’Iran e poi con la Russia sono state in grado di mordere. Ma in Medio Oriente non c’è tempo: ci sono ancora le guerre e quando si calmeranno (non c’è crisi in quella regione della quale s’intravvedano i segni di una soluzione definitiva), bisognerà proporsi come mediatori e non combattenti; occorrerà contribuire a ricostruire un mondo che è giusto dall’altra parte del nostro piccolo mare comune, il Mediterraneo.

Dovremo sederci di nuovo, parlare, continuare a fare business con Erdogan, Mbs, al Sisi, i libici; con la parte buona del potere iraniano, sapendo che conta di più quella cattiva; perfino con Hezbollah e Hamas. I russi lo fanno con tutti e gli americani dovrebbero imparare da loro.

Dovremo godere della loro ospitalità, bevendo con loro una tazzina di caffè arabo al cardamomo; accettare un caffè turco e poi un bicchiere di te zuccherato, poi di nuovo il caffè e il te, mentre la discussione si protrae; poi un dattero, una focaccia al timo e ancora un caffè. Sapendo quanto possono essere ospitali e contemporaneamente implacabili nella difesa del loro potere. Sapendo che usando l’arma dei profughi, possono facilmente superare la tiepida difesa dei nostri valori democratici. E’ così che funziona, non c’è un altro Medio Oriente. Per essere un po’ più preparati e limitare le brutte figure, consiglio la lettura di “Orientalismo” di Edward Said.

 

http://www.ispionline.it/it/slownews-it/

 

 

Allego un commento mediorientale dedicato alla Russia e uno sul Nobel per la pace, pubblicati questa settimana dal Sole 24 Ore.

 

https://www.ilsole24ore.com/art/siria-caos-medio-oriente-l-unico-vincitore-e-vladimir-putin-ACJw10r?fromSearch

 

https://www.facebook.com/ugo.tramballi.1/posts/2202706186500092

 

 

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