Quelle notti in piazza Tienanmen

tienanmen2Vivendo a Mosca, capitale dell’impero sovietico – e in fondo anche del comunismo che rifiutava il predominio russo – s’imparava a essere pratici. Così, appena arrivati a Pechino al seguito di Mikhail Gorbaciov per il grande vertice con Deng Xiaoping, c’informammo su quanti ristoranti avessero nella capitale cinese, su cosa vendessero nei loro negozi, ogni quanto tempo arrivasse la verdura fresca dai kolkoz: in quel caso erano le comuni che il denghismo aveva già incominciato a smantellare.

Il primo smacco fu scoprire che a Pechino c’erano almeno 500 ristoranti, la maggioranza dei quali gestiti con qualche forma d’impresa privata. A Mosca erano una decina. Solo uno sulla Kropotkinskaya era cooperativo e lottava con la burocrazia per sopravvivere. Fu così che sollevando con i bastoncini un abalone gocciolante di sugo d’ostrica, un collega disse una frase storica: “Il problema non è il comunismo ma i russi”.

Eppure in quei giorni di dolce primavera, in piazza Tienanmen migliaia di giovani erano venuti in bici da Beida, come è chiamata l’Università di Pechino, per inneggiare a “Gorby”. Anche loro: come i tedeschi, gli italiani, i cechi, vedevano in lui un simbolo di libertà. In realtà in pizza Tienanmen i ragazzi c’erano già. Da giorni protestavano perché all’ex segretario generale del Pcc, Hu Yaobang morto ad aprile, non erano stati concessi i dovuti onori. Hu era un riformatore, a quelle economiche di Deng ne voleva affiancare di politiche. Ma alla fine del 1987 la maggioranza ortodossa del partito lo aveva epurato.

Gorbaciov per gli studenti era certamente un simbolo ma anche un’opportunità per far conoscere al mondo la loro protesta. La stampa internazionale arrivata a Pechino in quei giorni era lì per seguire il vertice storico che avrebbe abbattuto la “Cortina di bambù”: il definitivo disgelo fra i due grandi comunismi. Invece la storia divennero le centinaia di migliaia di biciclette che non smettevano di arrivare in piazza Tienanmen; i giovani capi della protesta che iniziarono uno sciopero della fame; gli striscioni contro il sistema; il partito che non sapeva cosa fare.

Il 18 di maggio, quando Gorbaciov ripartì per Mosca, in piazza già incominciavano ad arrivare anche gli intellettuali del partito, i dipendenti dell’immensa burocrazia, gli operai; poi anche i contadini. Le proteste si erano allargate a molte altre città. Il programma di Gorbaciov aveva previso anche una visita a Shangai e un incontro con il partito locale. Approfittammo dell’aereo messo a disposizione per i giornalisti accreditati. Ma nessuno seguì Gorby: le manifestazioni erano così gigantesche che fummo costretti a raggiungere a piedi il Bund che si affaccia sul Fiume Azzurro. Nel quartiere di Pudong, sulla riva opposta, non c’era nulla. Shanghai era molto diversa da ciò che è oggi ma se ne intuiva l’energia.

Il disorientamento del regime era evidente: quando scaddero alla fine della visita di Gorbaciov, i nostri visti furono prolungati senza alcun problema. Passavamo le giornate in piazza Tienanmen o all’università a cercare interviste; tornavamo in albergo la sera tardi per scrivere: il fuso orario ci offriva molto tempo. Poi, mandato il pezzo, si tornava a passare la notte in piazza con la gente: nessuno aveva sonno in giornate come quelle.

I cordoni sanitari dell’esercito nei viali laterali non fermavano nessuno. Era stata eretta anche “Goddess of Democracy”, la dea della democrazia: una statua bianca alta una decina di metri, il simbolo della protesta e dei suoi obiettivi. Si dormiva poco ma nessuno aveva voglia di farlo. Sembrava impossibile che stesse accadendo tutto questo. A Pechino, Tienanmen; a Mosca stava per iniziare il primo Congresso dei deputati del popolo, una forma di parlamento che l’Urss né la Russia imperiale avevano mai avuto; nell’Est d’Europa i regimi cambiavano. In autunno avremmo seguito Gorbaciov a Berlino Est, un paio di settimane prima della caduta del Muro. Ovunque andassimo, scoprivamo che le illusioni del comunismo si stavano sgretolando; e che alla periferia dell’impero si viveva meglio che al suo centro sempre più impoverito. Per Mosca sarebbe stata solo questione di tempo.

Al centro, appunto, dentro il Cremlino, nella sala che aveva ospitato solo il rito dei congressi del Pcus, il 25 maggio si apriva il Congresso dei deputati del popolo. Gli iscritti al partito erano 1716, gli indipendenti eletti dal popolo come Andrej Sacharov, 242. Ma anche i 1716 erano parte del vecchio sistema solo nominalmente: le cose stavano cambiando e nessuno voleva restare indietro.

Decisi di lasciare Pechino il 24 maggio. Stava accadendo qualcosa d’incredibile anche a Mosca mentre in piazza Tienanmen la protesta languiva: il regime taceva e i giovani non sapevano quali nuovi passi compiere. Forse si sarebbe trovato un compromesso. Non fu così: il comunismo cinese che, diversamente da quello sovietico, le riforme economiche le stava compiendo, non poteva permettere un fallimento. Il massacro sarebbe stato definito dal denghismo come un pericoloso incidente di percorso che avrebbe potuto compromettere l’ordine costituito impegnato nello sviluppo economico della Cina.

Non era un giudizio del tutto sbagliato, anche se la logica che sottendeva aveva un realismo agghiacciante. Per anni, andando a Hong Kong dove molti si erano rifugiati, avevo cercato i volti dei giovani conosciuti in piazza Tienanmen. Poi ho smesso, distratto dall’osservazione della Cina di Xi, dallo studio della Russia di Putin, da quello della Polonia di Diritto e Giustizia e dell’Ungheria di Orbàn, dai neonazisti che ricrescono come funghi nell’Est della Germania.

Trent’anni fa, quando ero giovane, ho vissuto una magnifica illusione: la democrazia si sarebbe imposta e io non avrei più dovuto seguire guerre. I comunismi non si sono trasformati in democrazie, il mondo è ancora più instabile di prima e i conflitti non sono diminuiti ma aumentati. Di quelle notti in pizza Tienanmen è rimasto solo il ricordo. Niente altro.

 

 

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  • greatpeople me |

    Thanks for the information keep sharing such informative post keep suggesting such post.

  • carl |

    @habsb
    Qualche autolimitata aggiuntina.. Sperando che nel caso continuassimo a tirare troppo la corda il dott Tramballi non finisca per tagliarcela..:o) E’R.Vacca che scrisse a suo tempo “Il Medioevo p.v.”. Io ho solo detto che è probabile che continuando a produrre di tutto, di più con la necessaria energia e mat prime potremmo essere ridotti, per forza di cose, a produrre solo “beni e servizi” effettivamente necessari e su esplicita/previa/solvibile richiesta. La demografia globale ? E’ raddoppiata in un secolo e continua a crescere.. Ma a ben pensarci non sarebbe un problema SE la gestione economica, industriale, geopolitica fosse “armoniosa”, razionale, lungimirante e senza gli eccessivi sfasamenti di sviluppo e gestione in essere ma, purtroppo, ciò non è praticato da nessuna parte si volga lo sguardo ed il pensiero. Ragion per cui anche la demografia assume le caratteristiche di un problema aggiuntivo, serio e pure grave… La schiavitù è tutt’ora più o meno ovunque presente, sia tra individui che tra nazioni, in forme talvolta sottili, ma di fatto assai opprimenti, pesanti, persino schiaccianti sul piano politico, socio-economico, lavorativo, civico, cognitivo, culturale e aggiungiamo pure il “quant’altro”..:o)
    Infine sul tavolo verde c’è pure la possibilità che da uno o più conflitti convenzionali, lontani, circoscritti, sottovalutati. ecc. si possa arrivare ad uno generale nel quale si finisca per ricorrere all’arma nucleare. Un”esito” che nessuno (teorica & sensatamente) vuole ma che, a parte il caso e la necessità, non possiamo escludere al 100%… E allora sì che dalla vacche grasse si passerebbe non a quelle magre, bensì alle loro carcasse scheletriche..:o(
    p.s. Direi di risentirci sotto il prossimo articolo e, magari, anche con i contributi di altri commentatori.

  • habsb |

    sig. Carl

    prima di tutto, un blog è fatto per dibattere, e visto che siamo i soli a farlo, non credo che i nostri commenti siano sgraditi al dott. Tramballi.

    Le sue preoccupazioni sull’energia, materie prime e inquinamento possono essere affrontate in due modi.

    Uno è quello di produrre solo beni e servizi indispensabili. Tale era il mondo al Medioevo, quando fame e malattie decimavano i piu’ deboli, e la mancanza di divertimenti e distrazioni faceva si’ che ogni tanto le folle si distraevano bruciando viva una povera donna accusata di stregoneria oppure mettendo alla gogna un poveraccio sgradito ai bulli del villaggio.

    Un altro modo è quello di conservare il nostro livello di vita certamente più piacevole, ma riducendo fortemente il numero di abitanti del pianeta. Oggi non è più necessario dar vita a 4 o 6 figli per coppia, raddoppiando o triplicando la popolazione a ogni generazione. Un solo figlio dimezzerebbe la popolazione in 30 anni, ma anche 2 la riducono progressivamente. Ecco che energia, materie prime e inquinamento non sarebbero più un problema.

    Come arrivarci ? Non certo con un divieto, impossibile da far rispettare come abbiamo visto in rep. pop. cinese, ma piuttosto con una forte tassazione delle famiglie in funzione del numero di figli, che scoraggerebbe la proliferazione incontrollata.

    Infine Lei non apprezza la definizione di schiavitù che non è la mia, ma quella che trova in qualsiasi buon dizionario. Ma il tentativo di estendere il nome di schiavitù ad altre condizioni è pericoloso perché tende a nascondere e cancellare la differenza tra la vera schiavitù e altre condizioni che schiavitù non sono. In tal modo la schiavitù diventa quasi giustificabile perché assimilata a ogni altra condizione umana. Tutto cio’ mi fa pensare al terrorista recentemente arrestato, Battisti, che in un’intervista ha detto testualmente che si’ , ha usato delle armi, ma che a quell’epoca in Italia tutti avevano delle armi e le usavano. No, sig. Battisti, io ho vissuto come lei quell’epoca, e non ho mai avuto armi, ne’ conosciuto qualcuno che ne avesse.

    Similemente quelli che giustificano la schiavitù del comunismo (che è il suo nuovo nome) hanno come linea di difesa l’argomento che tutti i lavoratori del mondo sono schiavi. No, sig. Carl, sono anch’io un lavoratore e non sono uno schiavo, potendo cambiare lavoro, paese, risparmiare e intraprendere, cose che mai potrei fare se un destino crudele mi avesse fatto nascere in Corea del Nord, Cuba o Venezuela

  • carl |

    @habsb
    Esito a riprendere gli argomenti. Infatti non possiamo monopolizzare lo spazio e abusare dell’ospitalità del dott Tramballi. Tuttavia aggiungerò due aspetti/fattori. Energia e mat prime. Per quanto tempo possiamo/potremo ancora produrre di tutto e di più e non in modo fittizio o di “fiction”, come alla RAI..:o) bensì realmente in fabbriche/strutture grandi/medie/piccole e sempre più automatizzate…? E senza sapere se si riuscirà a sbolognare tutti i prodotti.. ma soltanto sperando di riuscirci “dopando”, stuzzicando, invogliando, creando bisogni aggiuntivi, ecc. tra le masse di consumatori? Potremo permetterci a lungo di consumare/bruciare tanta energia e materie con gli inevitabili/collaterali inquinamenti? Diverso il discorso per i servizi, che non hanno bisogno delle fabbriche succitate e ove, ad eccezione della sanità, ospedali,ecc. prevale l’immateriale, il virtuale.. Come fa in primis la famosa finanza che grazie all’ICT crea/moltiplica denaro ex nihilo e pure profitti (e automaticamente come nel High Frequency Trading, ecc.) evitando pure di essere minimamente (ad es.Tobin tax) tassata per assenza di accordi internazionali.
    E’ sempre più prob che finiremo per poter produrre solo beni/servizi necessari/indispensabili e su richiesta. Dopo le vacche grasse…
    Infine la Sua definizione di schiavitù è striminzita, mentre di fatto essa è multiforme.

  • habsb |

    sig. Carl
    a) non bisogna farsi confondere dalle belle favole : non siamo più bambini. Alla fine delle fini c’è un solo sistema e quel che importa è chi decide cosa si fa e con quali soldi. Puo’ essere un solo individuo (con pochi fedeli) o dei milioni di imprenditori : l’unica differenza è questa qui

    b) sta a ciascuno di noi provvedere alla propria sussistenza, offrendo agli altri il proprio lavoro o i propri risparmi (che non sono altro che lavoro già fatto e riconosciuto da chi li ha pagati). Solo casi estremi richiedono l’aiuto degli altri, che dovrebbe comunque essere sempre condizionato all’accordo dei donatori, per evitare tutti gli abusi che sabotano le nostre fallimentari socialdemocrazie

    c) schiavitù significa essere obbligati a lavorare senza poter decidere di smettere, né di cambiare lavoro, né di spostarsi o emigrare, e senza essere pagati con altro che il puro vitto e alloggio. Son rarissime le nazioni dove questa è la realtà dei lavoratori

    d)nessuno obbliga nessuno a decidere l’adozione di una tecnologia senza prima pensarci su anche tutta la vita. Chi La obbliga a usare Internet, o Amazon ? Bezos ha rivoluzionato la distribuzione ed è oggi possibile procurarsi a costi irrisori e a volte nulli dei beni che non avremmo mai potuto avere prima dell’avvento di Amazon

    e) sul voto non c’è molto da dire: in certi paesi si vota e si sceglie un leader. In altri il leader si autoproclama dittatore a vita (come i sovrani del 700),.

    f) Lei mette giustamente in luce la più grande esigenza del moderno sistema di produzione capitalista, (sia esso pilotato da un dittatore a vita, o da milioni di imprenditori), che è quella di prevedere e anticipare i bisogni dei consumatori.
    Se l’imprenditore sbaglia, non avrà più un’altra possibilità: avrà perduto il suo capitale e lascia il posto a un altro che farà diversamente.
    Se il dittatore sbaglia, poco importa: continuerà nei suoi errori fino a distruggere il paese, come abbiamo visto in URSS, come stiamo vedendo a Cuba e Venezuela, e come vedremo, dando tempo al tempo, in rep. pop. cinese.

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