Guerra fredda a Caracas al tempo di Twitter

venezuela2E’ stato con un tweet che l’altro giorno Juan Guaidò ha annunciato l’inizio della “fase finale dell’Operazione Libertà”, cioè la caduta del regime di Nicolàs Maduro.  Il messaggi faceva seguito ai ripetuti tweet di Donald Trump sul Venezuela a favore di Guaidò.

Così ripetuti che mentre a Caracas apparentemente accadeva di tutto (ma nei fatti non molto, per ora) a Washington un giornalista aveva chiesto a John Bolton se ai tweet minacciosi del presidente, gli Stati Uniti avrebbero fatto seguire i fatti. Se cioè quei “tweet of support” annunciavano un imminente golpe a Caracas: quello dei democratici di Guaidò contro i marxisti di Maduro, con l’aiuto delle principali cariche militari e civili dello stato, passati dal secondo al primo.

“Non è un colpo di stato”, ha risposto il baffuto Consigliere per la sicurezza nazionale. Di tanto in tanto anche Bolton è costretto a twittare, sebbene sia un falco interventista del XX secolo, interessato solo alle nuove tecnologie che rendono più letale l’arsenale militare americano.

Per quel che si può capire, componendo tweet e dichiarazioni sui media tradizionali di Guaidò, Maduro, Trump, Bolton, del segretario di Stato Mike Pompeo e del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, le cose sono andate così. Guaidò ha fatto un passo più lungo della sua gamba, probabilmente istigato da qualcuno a Washington;

gli apparati militari e civili dello stato venezuelano che avevano promesso di scaricare Maduro, hanno cambiato idea (anche loro lo hanno annunciato via tweet); l’appoggio al regime di russi e cubani non è solo verbale e ha la forza di far cambiare idea a chi tentenna: anche a Maduro che era pronto a fuggire all’Havana ma al quale gli alleati hanno spiegato che la partita a Caracas non è finita. L’intervento militare americano come la repressione finale del regime contro Guaidò e i suoi, sono più titoli di giornale che ipotesi concrete. Almeno per ora.

Il risultato finale di questa fase che non sarà quella finale dello scontro per il Venezuela, è che Guaidò ora è più debole; e che senza la presenza di russi e cubani il regime di Maduro avrebbe le ore contate. Zero a zero, il paese resta a giocare in una palude la sua partita disperata.

Prima c’era una classe dirigente corrotta che aveva trasferito nei suoi conti in banca a Miami la ricchezza petrolifera nazionale. Poi è arrivato Hugo Chàvez, prodotto di quella corruzione. El Comandanteera la conseguenza, non la soluzione dei problemi del Venezuela – l’ennesimo generale nel suo labirinto dell’America Latina – ma almeno dava contenuti al suo populismo. Poi è arrivato Nicolàs Maduro privo di arte e di parte; e Juan Guaidò, un liberale costretto a pensare a un golpe.

L’unico fatto nuovo è questo esperimento multilaterale di Guerra fredda combattuta con Twitter: la retorica e la propaganda sono sempre le stesse, lo strumento è nuovo e ancora imprevedibile.

In realtà russi e cubani non ne fanno grande uso. Pur con tutti i suoi grandi difetti, Twitter consente a chiunque di commentare il pensiero del capo. A Mosca non si è mai usato. Ancora oggi i giovani geni prodotti dalle università russe non vengono usati per fare startup ma per hackerare il nemico a fini politici. Jack Dorsey e i suoi trentenni coetanei che nel 2006 crearono Twitter non avrebbero mai potuto fare uno strekotaniye(cinguettio in russo) a Mosca, priva de necessario “ecosistema” di libertà d’impresa.

 

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