Così ripetuti che mentre a Caracas apparentemente accadeva di tutto (ma nei fatti non molto, per ora) a Washington un giornalista aveva chiesto a John Bolton se ai tweet minacciosi del presidente, gli Stati Uniti avrebbero fatto seguire i fatti. Se cioè quei “tweet of support” annunciavano un imminente golpe a Caracas: quello dei democratici di Guaidò contro i marxisti di Maduro, con l’aiuto delle principali cariche militari e civili dello stato, passati dal secondo al primo.
“Non è un colpo di stato”, ha risposto il baffuto Consigliere per la sicurezza nazionale. Di tanto in tanto anche Bolton è costretto a twittare, sebbene sia un falco interventista del XX secolo, interessato solo alle nuove tecnologie che rendono più letale l’arsenale militare americano.
Per quel che si può capire, componendo tweet e dichiarazioni sui media tradizionali di Guaidò, Maduro, Trump, Bolton, del segretario di Stato Mike Pompeo e del ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, le cose sono andate così. Guaidò ha fatto un passo più lungo della sua gamba, probabilmente istigato da qualcuno a Washington;
gli apparati militari e civili dello stato venezuelano che avevano promesso di scaricare Maduro, hanno cambiato idea (anche loro lo hanno annunciato via tweet); l’appoggio al regime di russi e cubani non è solo verbale e ha la forza di far cambiare idea a chi tentenna: anche a Maduro che era pronto a fuggire all’Havana ma al quale gli alleati hanno spiegato che la partita a Caracas non è finita. L’intervento militare americano come la repressione finale del regime contro Guaidò e i suoi, sono più titoli di giornale che ipotesi concrete. Almeno per ora.
Il risultato finale di questa fase che non sarà quella finale dello scontro per il Venezuela, è che Guaidò ora è più debole; e che senza la presenza di russi e cubani il regime di Maduro avrebbe le ore contate. Zero a zero, il paese resta a giocare in una palude la sua partita disperata.
Prima c’era una classe dirigente corrotta che aveva trasferito nei suoi conti in banca a Miami la ricchezza petrolifera nazionale. Poi è arrivato Hugo Chàvez, prodotto di quella corruzione. El Comandanteera la conseguenza, non la soluzione dei problemi del Venezuela – l’ennesimo generale nel suo labirinto dell’America Latina – ma almeno dava contenuti al suo populismo. Poi è arrivato Nicolàs Maduro privo di arte e di parte; e Juan Guaidò, un liberale costretto a pensare a un golpe.
L’unico fatto nuovo è questo esperimento multilaterale di Guerra fredda combattuta con Twitter: la retorica e la propaganda sono sempre le stesse, lo strumento è nuovo e ancora imprevedibile.
In realtà russi e cubani non ne fanno grande uso. Pur con tutti i suoi grandi difetti, Twitter consente a chiunque di commentare il pensiero del capo. A Mosca non si è mai usato. Ancora oggi i giovani geni prodotti dalle università russe non vengono usati per fare startup ma per hackerare il nemico a fini politici. Jack Dorsey e i suoi trentenni coetanei che nel 2006 crearono Twitter non avrebbero mai potuto fare uno strekotaniye(cinguettio in russo) a Mosca, priva de necessario “ecosistema” di libertà d’impresa.
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