Ognuno ha fatto il suo lavoro, svolgendo la parte prevista. La guerra siriana può continuare fra alti e bassi per qualche anno ancora: cambiando pelle, alternando vittime e carnefici, protagonisti e comprimari ma continuando a mietere vite e impedire la stabilità di un’intera regione.
Per quanti allarmi si possano lanciare e per quanto orribili siano gli avvenimenti, nessun uso di armi chimiche e nessun intervento sporadico occidentale come quello dell’altra notte, può aggravare una crisi che già vive una inesorabile escalation dal 2011, quando è iniziata. Sembrerà cinico agli uomini di buona volontà, ma nel bene e nel male ognuno ha fatto ciò che doveva fare.
A volte in modo eclatante, più spesso con discrezione e misura, sono anni che il regime siriano usa armi chimiche per contrastare i suoi oppositori: il suo arsenale è stato relativamente intaccato dagli accordi internazionali che ne prevedevano la distruzione, dagli attacchi aerei israeliani e dai missili americani. Per garantire la sicurezza della capitale, era fondamentare eliminare le sacche di resistenza di Ghouta da dove partivano i colpi di mortaio verso Damasco. Un regime che da due generazioni (a partire da Afez Assad, padre di Bashar) fa sparire nelle sue carceri decine di migliaia di oppositori, ha ancora meno scrupoli quando il gas serve per vincere una battaglia fondamentale.
Anche russi e americani hanno fatto il loro mestiere, un po’ litigando un po’ collaborando, come hanno sempre fatto: soprattutto da quando Donald Trump è alla Casa Bianca. E’ difficile che possa causare un’escalation militare un raid telefonato, quasi concordato. Americani, inglesi e francesi hanno comunicato ai russi con buon anticipo quanti missili avrebbero lanciato, dove avrebbero mirato e quando sparato. Fino ad ora il bilancio di un attacco condotto con 130 missili è di tre feriti. Non è fantapolitica sospettare che russi e americani abbiano anche concordato quanti missili dovessero essere abbattuti dalla contraerea siriana. Giusto per non rendere la combine troppo evidente: 71 ordigni intercettati, come dicono i russi, è una cifra accettabile anche se poco credibile. La propaganda del regime di Damasco parla di 100 missili abbattuti. Ma è propaganda.
Il loro lavoro, russi e americani continueranno a farlo anche sul piano diplomatico, convocando il Consiglio di sicurezza dell’Onu e imponendo veti alle risoluzioni dell’uno e dell’altro. Sia Putin che Trump avranno cose da dare al loro fronte interno: il primo accusando gli americani di violare il diritto internazionale, rinfocolando la vulgata di un Occidente che minaccia anche la Russia; il secondo imponendo la questione morale delle armi chimiche e mostrando muscoli (finti) a chi in America sospetti, come l’Fbi, relazioni pericolose fra i suoi affari personali, la sua elezione e Mosca.
Anche Staffan de Mistura, il negoziatore Onu avrà l’obbligo di continuare, come Sisifo, a spingere verso una soluzione il masso di un negoziato di pace impossibile. I protagonisti della tragedia che gli consentono di avanzare faticosamente lungo il pendio, sono sempre gli stessi che fanno riprecipitare il masso molto prima che la vetta sia in vista. Normalmente de Mistura viene invocato da chi in questa vicenda ha poco da dire: l’Onu, la Ue, il governo italiano uscente e chi dovrebbe farne uno nuovo. Gli altri, quelli che contano, hanno sulla Siria i loro progetti che continueranno a perseguire. Non c’è dunque niente di nuovo sul fronte orientale.
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Allego un commento sullo stesso tema pubblicato venerdì sul Sole 24 Ore.