Recessione democratica

democracyEra dai tempi più difficili della Guerra fredda che l’Occidente non esibiva un’uguale unità d’intenti. Non l’aveva mostrata nelle guerre mediorientali di George Bush e di Nicolas Sarkozy, ritenendole sbagliate. L’ha fatto accanto alla Gran Bretagna nella sua reazione all’inaccettabile tentativo di omicidio dell’ex spia Sergei Skripal, usando dell’agente nervino.

Sono stati 17 paesi della Ue e altri 7 dagli Stati Uniti al Canada, all’Australia, a espellere più di cento diplomatici russi. Non era accaduto nemmeno quando i miliziani in Ucraina avevano abbattuto un aereo di linea malese con un missile russo. E’ stato un gesto simbolico contro Vladimir Putin per denunciare la sua arroganza e minare la sua certezza di avere in pugno l’Occidente.

Ma di mezzo c’era qualcosa di più della Russia di Putin. E’ stata una specie di sollevazione globale, la prima alzata di testa della comunità democratica contro la montante marea illiberale che non cresce solo nei paesi tradizionalmente autoritari. A Mosca e al Cairo abbiamo appena assistito a due farse elettorali. A Pechino è stato ripristinato l’imperatore. Ma secondo l’istituto di ricerca svedese V-Dem, il problema è più vasto: in un quindicennio le democrazie sono scese da 100 a 97. https://www.journalofdemocracy.org/article/how-much-democratic-backsliding . Nel 2013 erano cinque i paesi in transizione verso la democrazia. Tuttavia altri nove stavano percorrendo il cammino contrario. Global Freedom rileva un declino globale delle libertà per il dodicesimo anno consecutivo https://freedomhouse.org/report/freedom-world/freedom-world-2018 . Poiché questa è una stagione di transizione geopolitica, dobbiamo chiederci quale sarà la natura del futuro ordine internazionale, con così tanti attori illiberali.

Nonostante gli errori commessi in oltre 70 anni di predominio americano, al dipartimento di Stato è consultabile un volume intitolato “Lista dei trattatati e altri accodi internazionali degli Stati Uniti”. Ha 551 pagine. Il 3 aprile è il settantesimo anniversario del Piano Marshall. Per quanto male se ne possa parlare, con quello abbiamo ricostruito il nostro paese. Il nome è così positivo nella memoria popolare che il Comune di Roma chiama ”Piano Marshall” il suo tentativo disperato di riparare le buche stradali.

La Russia di Putin non ha alleati se non chi ha disperatamente bisogno delle sue armi; la Cina ci sta provando a imitare il sistema di alleanze occidentali, sollevando qualche preoccupazione sulle reali intenzioni di Obor.

Ma la situazione oggi è liquida. Non è più come a tempi della Guerra fredda, quando il mondo era diviso fra paesi democratici e autoritari. Oggi la maggioranza della popolazione mondiale vive in una terra di mezzo che non è più autoritaria ma non è ancora democratica: la Nigeria, il Brasile, l’Indonesia, per esempio. In parte anche l’India. Il grande storico Ramachandra Guha sostiene che a ogni elezione l’India è un raro esempio asiatico di democrazia: lo è un po’ meno fra un voto e l’altro.

Anche in Occidente, in Europa, a casa nostra, populismo di destra e nativismo etnico-religioso crescono a dismisura come ci fosse un improvviso vuoto di memoria sulla nostra storia. Fra i paesi in transizione verso forme sempre più evidenti di autoritarismo, oltre alla Turchia ci sono Ungheria e Polonia: membri Ue, nei quali c’è una palese erosione della libertà di espressione.

I polacchi hanno stabilito per legge di non essere antisemiti: è come dire che i cinesi non hanno gli occhi a mandorla. In Ungheria la separazione dei poteri non è più un valore, una garanzia di trasparenza: è piuttosto considerato un pretesto per salvaguardare i vantaggi delle vecchie élites. La libertà di stampa è tradimento alla patria e alla sua sicurezza. Così la pensano anche partiti e i movimenti di destra nella parte occidentale dell’Europa. E con questi slogan vincono elezioni o conquistano consensi crescenti.

Prima della vittoria elettorale del fonte di destra-centro, la leader di Fratelli d’Italia era andata a Budapest a manifestare il suo appoggio a Victor Orbàn e alla sua deriva nazional-cristiana. La domanda ora è: una società democratica quanto è sicura dal rischio di recedere verso forme autoritarie? Quanto siamo lontani da quel punto pericoloso nel quale il liberalismo -cioè il governo delle leggi – e la democrazia – il governo del popolo – vengono separati l’uno dall’altra?

 

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