Il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme non fa avanzare né compromette il processo di pace fra israeliani e palestinesi, semplicemente perché non esiste un processo di pace. La causa del fallimento non sono le decisioni estemporanee di Trump ma un governo israeliano dominato da un estremista nazional-religioso come Naftali Bennett che non vuole uno stato palestinese; da Hamas di Gaza che non vuole lo stato d’Israele; dall’immobile e inamovibile gerontocrazia che governa l’Autorità palestinese di Ramallah.
La decisione su Gerusalemme ha però riportato il conflitto israelo-palestinese in cima alla lista del caos mediorientale: fuori l’Isis, dentro di nuovo la Palestina dopo anni di letargo. Sul piano diplomatico e geopolitico è stato un regalo ai grandi concorrenti degli Stati Uniti in Medio Oriente. Come l’invasione dell’Iraq del 2003, con la differenza che allora l’America viveva nella condizione di unica e ineguagliabile potenza. Oggi, solo 14 anni più tardi, la concorrenza è attiva: Russia, Cina e Iran.
Così, mentre gli iraniani espandono la loro sfera d’influenza nella regione, i russi diventano gli arbitri credibili di ogni guerra e ogni negoziato, e i cinesi trasformano il grande business di Obor nella globalizzazione del XXI secolo, l’America si chiude nell’autismo trumpiano e minaccia a destra e sinistra.
Il voto all’Onu è stato una catastrofe: 128 paesi contro; 35 astenuti con dichiarazioni di voto che non nascondevano l’intimo desiderio di votare si alla risoluzione contro gli Stati Uniti; 21 assenti ingiustificati perché dovevano votare no ma volevano votare si. Quasi un plebiscito mondiale. Gli Stati Uniti sono rimasti ovviamente con Israele e altri sette paesi, fra i quali l’influente Micronesia e la decisiva Palau.
Mostrando un’avversione alla sconfitta, Nikki Haley, l’ambasciatrice americana all’Onu, ha minacciato in modo piuttosto sgradevole i 128 “traditori”. In un tweet l’ex capo della Cia John Brennan ha scritto che “Trump si aspetta da chiunque cieca lealtà e sottomissione: qualità che di solito troviamo negli autocrati narcisisti e vendicativi”. Ed è stata da autocrati, il giorno seguente alla Casa Bianca, la conduzione dell’ultima seduta del governo prima delle vacanze natalizie. Ai segretari dei dicasteri più importanti – Esteri, Difesa, Economia, Interni e Giustizia – è stato ordinato di tessere l’elogio dei successi ottenuti da Trump nel suo primo anno di mandato. Come accade in tutti i politburo e gran consigli del mondo, nessuno ha obiettato e ha letto il suo compitino.
Cosa c’è di trasparente e democratico in un sistema politico nato per essere “of the people, by the people, for the people” e che ora è a gestione familistica? La figlia Ivanka è la più influente consigliera politica, suo marito Jared Kushner è il titolare della politica estera, l’altro figlio Donald Junior accusa di “tradimento della patria” chi indaga sui presunti legami del padre con i russi. Pyongyang sul Potomac. Buon Natale.