Non si può definire un entusiastico e promettente benvenuto, quello riservato dal regime egiziano all’ambasciatore Gianpaolo Cantini, appena arrivato al Cairo. Ibrahim Metwally, consulente legale della famiglia Regeni, è stato fatto scomparire e riapparire qualche giorno dopo nella cella di uno dei tanti apparati di un sistema di sicurezza trasformatosi in sistema del terrore.
Metwally, dell’Egyptian Commission for Rights and Freedom, era in aeroporto quando è stato prelevato. Si stava imbarcando per Ginevra, dove lo attendeva la commissione per i diritti umani dell’Onu. La comunità internazionale non dovrebbero più ignorare un sistema brutale che negli ultimi 12 mesi ha fatto sparire 378 cittadini, oppositori o sospetti tali.
Per aver denunciato il caso dei desaparecidos, Metwally è ora accusato di danneggiare la sicurezza dello stato per essere in contatto con “soggetti stranieri”. Chi, le Nazioni Unite? I genitori di Giulio? Nel delirio repressivo di Abdel Fattah al Sisi, chiunque non paghi per tenere in piedi un regime fallito anche economicamente, è un nemico dell’Egitto. Alla luce di tutto questo, appaiono sconfortanti le dichiarazioni del ministro degli Esteri Alfano quando, nel tentativo di giustificare il ritorno di un ambasciatore italiano al Cairo, a Ferragosto parlava di nuove aperture egiziane sul caso Regeni.
Credo sia necessario avere laggiù un’ambasciata pienamente funzionante e un titolare che sappia il suo mestiere. E’ necessario perché non averlo avuto per circa un anno e mezzo non è servito a niente; perché tanti italiani al Cairo meritano di essere protetti; perché il “dossier” tra Italia ed Egitto, due paesi di non poco conto nel Mediterraneo, circa 160 milioni di persone, conflitti regionali, migranti, relazioni economiche, non può essere circoscritto alla tragica vicenda di Giulio, per quanto sia difficile ammetterlo; perché l’Europa non ci ha seguiti. Mentre noi congelavamo le relazioni, la Francia ha riempito l’arsenale egiziano; Angela Merkel è stata accolta come una regina, spettacolo di suoni e luci alle piramidi compreso.
In questo generale todos caballeros – nessuno è responsabile di niente ma tutti sono meritevoli di solidarietà umana – è difficile escludere qualcuno. E’ evidente che il primo e il peggiore sia il regime egiziano, un apparato di brutalità e menzogne: gli assassini di Giulio sono lì ed è impossibile che l’ex generale al Sisi non sapesse, governando l’Egitto come una caserma.
Poi c’è Ponzio Pilato-Cambridge che del caso si è presto disinteressato. A cominciare dalla tutor che sapeva di avere affidato a Giulio una ricerca estremamente pericolosa nel clima politico del Cairo. Possiamo dire che la signora Maha Abdelrahman, la tutor, sia (come minimo) colpevole di superficialità? Ma di questo non si parla più perché in Italia c’è una piccola lobby intellettuale che si mobilita non appena si accenna alle responsabilità inglesi. Chi lo fa è accusato di ignorare le colpe del regime di al Sisi. Come se nella vicenda di Giulio non ci siano tante colpe di diverso peso e gravità.
Perché non chiedere qualche verità anche ai nostri servizi? Decantati per avere in quella regione vasta conoscenza di situazioni e personalità, è possibile che in sette giorni i nostri agenti al Cairo non siano riusciti a scoprire dove fosse Giulio, a mandare i messaggi giusti alle persone giuste? Giulio aveva commesso l’errore di non registrarsi all’ambasciata italiana. Ma l’allarme per la sua scomparsa era stato immediato.
La stessa domanda potrebbe essere fatta ai servizi di sicurezza dell’Eni. E ci si potrebbe chiedere perché, nonostante i grandi investimenti nel settore energetico, la compagnia non sia stata di grande aiuto nel tentativo di avere dagli egiziani una modica quantità di verità.
E’ una verità che forse non avremo mai in nessuna misura. Per questo il governo italiano avrebbe dovuto essere più determinato nel rimandare al Cairo l’ambasciatore, evitando furtivi annunci alla vigilia di Ferragosto; lasciando perdere la promessa di Alfano di dedicare a Giulio aule universitarie e convegni al Cairo: immaginatevi quanta altra gente farebbe sparire il regime. E dopo il famoso articolo del New York Times che in realtà non diceva nulla di nuovo, politici intelligenti come Pier Ferdinando Casini e Marco Minniti avrebbero dovuto evitare di gridare al “complotto contro l’Italia”. L’Italia non è un paese così importante e il Times non fa campagne diffamatorie.
A proposito: la stampa. Anche noi todos caballeros, schierandoci pro o contro il ritorno dell’ambasciatore, secondo schieramento politico della testata. Caballero anche il direttore di Repubblica che ora sostiene “Il coraggio della verità” ma che l’anno scorso ha fatto un’intervistona ad al Sisi a dir poco imbarazzante. Due pagine per due giorni di fila il New York Times non le darebbe mai, nemmeno se intervistasse Adolf Hitler.
Non ci crederete ma c’è una sola persona che col governo egiziano sta facendo quello che tutti i leader occidentali dovrebbero fare: Donald Trump. Preoccupata per lo stato dei diritti umani in quel paese, l’amministrazione americana ha cancellato 100 milioni di dollari e ne ha sospeso altri 200 del programma di assistenza in gran parte militare al regime. Perfino Trump ha capito che le repressioni di al Sisi non aiutano a combattere il terrorismo islamico ma ne ingrossano le fila.