Quel che resta dei comunisti italiani si riunisce per celebrare il Muro di Berlino. Che io sappia, è l’unica manifestazione per la ricorrenza dei 25 anni. In realtà loro festeggiano il Muro, non la sua caduta. E ricordano Stalin, nonostante Koba sia stato un massacratore di donne e di uomini: soprattutto russi, e con un particolare accanimento per gli iscritti al partito.
L’idea di uguaglianza del Marxismo, infatti, non c’entra nulla con il comunismo sovietico, che fu uno strumento per far rinascere la potenza territoriale e politica russa. Come oggi il putinismo. Ma è questo che ai nostri comunisti manca: non il comunismo ma l’Unione Sovietica e la sua forza imperiale, delle quali il Muro è stata la prova più evidente del fallimento.
“Tutti i Paesi del blocco comunista erano organizzati allo stesso modo: se non in delegazione ufficiale, viaggiare non era un’attività incoraggiata dalle autorità. Il Muro di Berlino non era che l’ultimo divisorio fisico, il più famoso e visibile, la barriera finale di una rete di muri burocratici, polizieschi, ideologici, di vita quotidiana. L’obiettivo delle “Democrazie popolari e internazionaliste” alla fine era di fare degli uomini e delle donne stanziali. Meglio, immobili. Se si fossero mossi e avessero aggirato i muri eretti attorno a loro, avrebbero scoperto che altrove c’era di meglio” (mi cito, l’ho tratto dalla mia presentazione della mostra fotografica di Uliano Lucas “Berlino: la libertà oltre il muro”, Alinari24 Ore, per i 20 anni della caduta).
Eppure un numero crescente di italiani e di europei lo rimpiangono: se il Muro fosse ancora in piedi non ci sarebbe stata l’Europa dell’euro né la globalizzazione e tantomeno l’immigrazione. E noi saremmo più ricchi. Su questo, sinistra (comunisti) e destra (fascisti e postfascisti, Lega, settori di Forza Italia e del grillismo) la pensano allo stesso modo. Sulla crisi ucraina Il Manifesto e Il Giornale sono sempre sulla stessa linea: ugualmente sostenitori di Putin, sintesi di una nuova/vecchia visione comunist-fascis-nazional-social-capitalista del mondo. Insomma, una turbo teoria della cospirazione contro la Storia.
Il Muro era ormai solo il tappo destinato comunque a saltare, prima o poi, sotto la spinta di forze già in moto. Se avesse resistito qualche anno di più, magari un altro decennio, avrebbe rallentato quelle tendenze, drammatizzandole, non le avrebbe impedite. La Cina protocapitalista di Deng si era già messa in moto e il mondo aveva incominciato lentamente la sua marcia verso una maggiore equità fra ricchezza e povertà. Oggi, infatti, crescono le disuguaglianze sociali all’interno dei singoli Paesi, ma diminuiscono quelle Nord-Sud fra i Paesi. In Asia, Africa e America Latina la percentuale dei poveri è diminuita radicalmente. Sui mercati internazionali c’è più concorrenza e questa è democrazia. Quella fame di democrazia che ha dato la spallata definitiva al Muro.
Il 9 di novembre di 25 anni fa, non appena si aprirono le prime brecce nel Muro, i berlinesi dell’Est fecero prima di tutto due cose a Ovest: salirono all’ultimo piano della sezione alimentare del KaDeWe, il grande magazzino sul Kurfurstendamm, a scoprire quante qualità di wurstel sapeva fare la Germania capitalista. Poi entrarono nei negozi a luci rosse dei quali era piena Berlino Occidentale. Infine, soddisfatto l’appetito alimentare e quello della carne, fecero ritorno a Est ad abbattere il regime della DDR, ad aprire giornali liberi e iniziare il processo di riunificazione tedesca. Il Muro li aveva volutamente tenuti lontani per troppi anni dai piaceri personali e dagli ideali collettivi. Due esigenze, due categorie di fame diverse ma di pari importanza.