Siate onesti. Se foste israeliani, anche liberal con amici palestinesi, sostenitori del processo di pace, laici, cosmopoliti e perfino abbonati ad Ha’aretz (io lo sono), oggi accettereste a cuor leggero uno Stato palestinese? Con l’aria che tira nella regione, lo Stato islamico, i terroristi che tagliano teste nel Sinai e i qaidisti armati a Kuneitra, sotto il Golan e a due passi dal lago di Tiberiade, vorreste vedere nascere uno Stato arabo dalla classe dirigente debole e dal fragile consenso popolare?
Qui non si tratta di moralità, etica, diritti di un popolo sotto occupazione dal 1967, di responsabilità israeliane per l’ostilità che i palestinesi nutrono per loro. E’ una questione di geopolitica esistenziale, di sicurezza istintiva: per non saper leggere né scrivere, per un po’ lasciamo le cose come stanno. Onestamente, difficile dare loro torto.
Del resto, la scarsissima reazione alla guerra di Gaza del mondo arabo dall’Egitto all’Arabia Saudita, dai guerriglieri sunniti dell’Isis agli sciiti di Hezbollah, spingono al congelamento della questione palestinese: al momento ci sono altre priorità. Palestinesi, mettetevi in coda fino alla prossima Intifada.
Il problema degli israeliani in mezzo a questa regione così pericolosa è che il loro primo ministro non sta affatto lasciando le cose come stanno. Bibi Netanyahu ne sta approfittando. Ha deciso di promuovere a colonia un avamposto nei territori occupati in memoria dei tre ragazzi israeliani rapiti da Hamas e uccisi vicino a Hebron: per lui la vendetta è il legittimo strumento di un governo sovrano. Ha approvato la costruzione di 2.600 unità abitative nella parte orientale, araba, di Gerusalemme. E nell’antico quartiere di Silwan ha permesso che un’organizzazione ultra-nazionalista ebraica s’impossessasse di 25 appartamenti.
Una logica forse minimalista ma sana, consiglierebbe a Israele di elevare al massimo la sicurezza alle sue frontiere, così in prima linea, e far dimenticare per un po’ la causa palestinese; evitare che qualcuno ne faccia un uso pericoloso, insomma. Invece no, Netanyahu ne approfitta per allargare e consolidare l’occupazione. Se e quando il mondo si ricorderà della questione palestinese, non ci sarà più un posto dove mettere questi palestinesi. E’ l’obiettivo di Bibi Netanyahu e del suo governo molto di destra con qualche sopravvissuto di centro.
Il picco di arroganza – in questo sport Bibi alza l’asticella ad ogni salto – è stato raggiunto nella sua ultima visita a Washington. Alle critiche mosse da Barack Obama alla politica espansionistica degli insediamenti, Netanyahu ha risposto che quello del presidente era un comportamento “non americano”. Violava il valore fondamentale del diritto della gente di andare a vivere dove vuole. Anche gli arabi, ha detto, possono prendere casa a Gerusalemme Ovest, ebraica.
Dal punto strettamente legale è possibile. Sul piano pratico e politico no. E tutti lo sanno, per quanto Bibi pensi di avere sempre a che fare con gente meno intelligente di lui.
L’arroganza nel caso specifico è la convinzione che gli Stati Uniti esistano per essere al servizio della sua idea di Israele. Non che gli Stati Uniti lo smentiscano spesso. Il Congresso è territorio amico; il partito repubblicano è nelle sue mani; l’Aipac, la lobby americana che, come consente la legge, difende gli interessi israeliani, ha perso l’equilibrio di un tempo ed è ormai un partito della destra nazionalista israeliana ai piedi della collina del Campidoglio di Washington.
Un portavoce della Casa Bianca ha ricordato a Bibi che fra i valori americani c’è anche il finanziamento di Iron Dome; che quei valori hanno permesso a Israele di essere una potenza militare. Ma a lui interessa solo ciò che gli conviene. Bibi Netanyahu è e sarà sempre il Mr. Niet di ogni consiglio intelligente.