Shana Tova, Haver

SegreVittorio Dan Segre è morto ormai una settimana fa, durante le festività di Rosh Hashanà, il capodanno ebraico. Ancora adesso, mentre scrivo, mi chiedo se sia giusto ricordare una delle persone più straordinarie che ho avuto la fortuna di conoscere. Un “coccodrillo” è sempre un prodotto giornalistico freddo. Fra le righe, anche la commozione è di circostanza. Nell’archivio del mio computer ne ho memorizzati diversi già scritti su alcune personalità politiche che, al momento, godono di ottima salute.

Non sarei mai stato capace di farne uno a freddo, dedicato a Dan: o come si firmava, R.A. Segre. Per quanto, nella narrativa giornalistica, si dica che un necrologio anzitempo porta sempre buono.

Dan era speciale. Lo leggevo da ragazzo quando lui scriveva da Israele per il Corriere della Sera e poi sul Giornale, quando aveva seguito Montanelli nell’impresa. Poi lo vidi e dopo ancora gli parlai. Infine, credo, ottenni addirittura a sua stima.

Non fu una cosa così rapida, ci vollero anni. La prima volta che lo vidi nei corridoi del Giornale in piazza Cavour, a Milano, dove ero appena arrivato da abusivo (allora si chiamavano così gli stagisti), non ebbi nemmeno il coraggio di presentarmi. Lo guardai passare in silenzio. A quei tempi pensavo che Israele fosse un’impresa eroica, ai limiti della mitologia. Col tempo il mio giudizio si è fatto più cauto: l’impresa fu effettivamente eroica ma con ampie zone oscure. Con il suo sguardo intenso, il volto abbronzato e le rughe accanto agli occhi, Dan mi sembrava il modello perfetto del sabra, un fondatore di kibbutz.

In realtà era nato a Govone, Cuneo, 91 anni fa e non era fatto per dissodare la terra, anche se fu mazzinianamente uomo di pensiero e di azioni. Da giovane era stato fascista, poi si era ricreduto e nel 1939 era emigrato in Palestina. Era tornato in Italia verso la fine della guerra, aveva lavorato nei servizi segreti ebraici, fu tra i fondatori dello Stato d’Israele per il quale aveva combattuto, spiato, era diventato analista, stratega, diplomatico. Era stato giornalista da giovane e aveva ripreso ad esserlo in età matura. E’ tutto sintetizzato nella sua “Storia di un ebreo fortunato” (Bompiani, 2000).

Un viaggio umano sempre con le antenne alzate per riflettere e capire. Era onesto, trasparente, documentato. Dan aveva due fedi: quella nell’aldilà e per Israele. La seconda è sempre stata un’analisi critica. Non metteva in discussione i fondamenti dello Stato che aveva contribuito a creare ma non si negava mai il privilegio di giudicare. Le volte che non la pensavo come lui su Israele, avevo sempre il sospetto di essere nel torto (mi succedeva anche con il grande demografo Sergio della Pergola, poi mi sono un po’ ricreduto).

Nel periodo più difficile e teso della seconda Intifada palestinese, soprattutto dopo l’11 Settembre, non era facile scrivere di israeliani e palestinesi. Criticare Israele equivaleva a iscriversi d’ufficio al club dei sostenitori del terrorismo. Il Foglio mi aveva preso di mira con le uniche tre firme mediocri che aveva; alcuni estremisti della Comunità ebraica romana non perdevano occasione per insultarmi con lettere firmate. Qualcuna era minatoria. Perfino nella Confindustria di allora c’erano tre o quattro dirigenti importanti che palesemente non mi amavano e si auguravano il mio trasferimento in Mongolia.  “L’Uulivo e le pietre” (Tropea, 2002), il mio primo libro sul confitto fra israeliani e palestinesi, fu per molti dei miei delatori la prova matematica del mio antisemitismo. Una di quelle lettere non firmate sosteneva che educassi anche i miei figli a odiare gli ebrei. Di tutti gli insulti, era l’unico davvero insopportabile.

Fu Dan, sollecitato dal comune amico Marcello Foa del Giornale, a intervenire e difendermi. E se il principe degli ebrei e degli israeliani era venuto in mio soccorso, questo significava che se non avevo del tutto ragione non avevo nemmeno così torto.

Non l’ho mai ringraziato per questo. Credo a causa della stessa soggezione che avevo avuto la prima volta nei corridoi del Palazzo dei Giornali di piazza Cavour. In tanti anni non sono mai riuscito a dargli del tu. Non mi riusciva solo con Montanelli e con lui. Ogni volta Dan mi rimproverava di farlo, chiedendomi il perché. “Non posso – rispondevo – è più forte di me. Non ci riesco”.

Lo faccio adesso, per la prima e ultima volta. Shanà tovà, Dan, buon anno. Credevi così tanto e così dottamente in una vita oltre la vita, che se il paradiso non esiste, certamente qualcuno ne ha fatto uno solo per te.

Allego il fondo dedicato a Hong Kong, uscito ieri in prima pagina sul Sole-24 Ore. Aggiungo anche la versione in inglese pubblicata dal sito del Sole. 

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-10-01/tienanmen-e-lontana-ma-cina-teme-contagi-0…       

http://www.ilsole24ore.com/art/english-version/2014-10-01/tiananmen-is-distant-but-china-fea…       

  • carl |

    Stavolta, ad essere sincero, e visto a chi è dedicato il pezzo del dott Tramballi inizialmente mi ero detto “stavolta nessun commento”. Del resto che avrei potuto ragionevolmente dire dell’illustre defunto, non avendolo mai conosciuto, nè letto, nè frequentato ? Eppure nel leggere la sintesi esistenziale tratteggiata dal dott Tramballi ed in particolare l’accenno al fatto che egli “..aveva lavorato nei servizi di spionaggio..analista..combattente..stratega..diplomatico..giornalista..ecc.”, a torto o a ragione, mi è venuta in primo luogo in mente la figura di Graham Greene.. Il quale tuttavia ha lasciato più fatiche letterarie che giornalistiche.
    Ma ecco che quando poco più in là Tramballi ha aggiunto, categoricamente, che l’illustre defunto”aveva due fedi”, una delle quali “nell’aldilà”.. Beh, sono sorti altri pensieri. Beninteso, lungi da me il voler metterlo in dubbio. Del resto. come potrei..? Non sono mica onnisciente..
    Ma a questo punto mi sembra necessario precisare che chi scrive è pienamente convinto che non sia umanamente possibile avere la certezza che una persona creda realmente in Dio, nell’aldilà, in una Giustizia ineludibile, ecc. Sia dunque ben chiaro che la commemorazione di D.Segre mi ha solo dato lo spunto per esprimere una convinzione personale aggiungendo, en passant, di essere sempre stato assai perplesso in merito al fatto che a partire da un dato momento storico a Roma (e poi in Vaticano) abbia preso piede la prassi di stabilire che la tal persona fosse “santa” e che di conseguenza potesse essere oggetto di preghiere, richieste, ecc. come e/o al posto di Dio..( ad es. san Roncalli, san Wojtyla aiutatemi…!!) va da sè che io non sono un esperto (qui ci vorrebbe probabilmente un intervento di Ravasi..)ma credo che se in Vaticano si usa il termine “santo”(il che, da quel che mi è dato di sapere,equivarrebbe a dire che si tratta di una persona che ha fatto soltanto il proprio dovere in piena conformità con quanto indicato nel Vangelo, ove peraltro pare che si faccia uso anche del concetto di “servo inutile”, vale a dire che la persona in questione altro non avrebbe fatto che il proprio dovere, ossia ciò che in ogni caso era tenuta a fare..) nell’ebraismo specie tra i laici, si ricorre invece all’espressione “giusto” (forse gli ebrei credenti usano l’espressione “pio”, ma non saprei dirlo con certezza) “Giusti” che tuttavia non sono oggetto di preghiera, ma solo di commemorazione.
    E concludo con un aneddoto che a suo tempo rafforzò in mè sia la convinzione che la perplessità succitate. Mi è infatti capitato di sentir dire, non ricordo bene se fosse S.Natoli o M.Cacciari, che in più di un’occasione qualcuno che si era rivolto a loro dicendo “Lei che è credente..” aveva poi strabuzzato gli occhi nel sentirsi rispondere “Guardi che Lei si sbaglia, io non sono credente..”..:o)
    Emblematico no? Infatti, sia Natoli che Cacciari, hanno dimostrato in più occasioni di avere una conoscenza delle Scritture giudaico-cristiane almeno pari se non anche maggiore di qualcuno che abbia trascorso numerosi anni in un seminario o in una scuola rabbinica..

    p.s. non so se il mio mcommento otterrà il nulla osta, il beneplacito..:o)per essere pubblicato nel blog, ma in tal caso spero aopratutto di non essere frainteso e prego sia il dott Tramballi che gli altri commentatori, nonchè i semplici visitatori di questo blog di credere che quel che ho espresso mi è venuto in mente per un mero fenomeno mentale di “associazione di idee” e senza alcuna pretesa, nè intenzione di entrare nel merito delle convinzioni di D.Segre e men che meno di metterle in dubbio.

  • Marcello Foa |

    Gran bel ricordo, caro Ugo. Non posso che confermare quanto hai scritto, ringraziandoti per la citazione. Aggiungo solo che Dan non esitò un secondo a prendere le tue difese, sapendo che la tua critica, per quanto dura, era credibile, autentica, frutto non del pregiudizio antisemita (che accusa ridicola!) ma di una lunga intensa riflessione da parte tua. E Dan difendeva sempre i colleghi coraggiosi.
    Un grande uomo, per me un grande amico, che ho omaggiato qui: http://blog.ilgiornale.it/foa/2014/09/29/grazie-dan-uomo-giusto-amico-insostituibile/

    Un abbraccio

    Marcello

  • shmola |

    Caro Ugo Tramballi, non credo di “aver giudicato tutta la sua vita”. Non mi permetterei mai e sono consapevole che sia stata una persona di spessore. Questo però non vuol dire che mi debba necessariamente sentire a mio agio leggendo quell’articolo e molti altri simili (non credo debba riportali tutti; ho citato l’ultimo perchè forse nella fase conclusiva di una vita le persone sono in grado di leggere maggiori sfumature nelle fessure della storia). Così come non giudico Montanelli ma reputo disarmanti tante sue frasi su temi che conosceva marginalmente:

    “Che i profughi palestinesi siano delle povere vittime, non c’è dubbio. Ma lo sono degli Stati Arabi, non d’Israele. Quanto ai loro diritti sulla casa dei padri, non ne hanno nessuno perché i loro padri erano dei senzatetto. Il tetto apparteneva solo a una piccola categoria di sceicchi, che se lo vendettero allegramente e di loro propria scelta.”
    Dal «Corriere della Sera», Indro Montanelli, 16 settembre 1972

    Ognuno ha il diritto di considerare chiunque voglia come “una delle persone più straordinarie”, così come ognuno ha il diritto di provare disagio nel leggere frasi come, ad esempio, quelle sopra. Poi, inutile dirlo, tutto è in qualche modo giustificabile.

  • antonella zanco bona |

    Caro Ugo, per tutti noi che l’abbiano conosciuto al Giornale, non possiamo che ricordare la sua estrema gentilezza e generosità nel rivolgersi alle persone e ai suoi collaboratori. Ho avuto il piacere di essere stata invitata a pranzo a Govone e di aver visitato la sua bellissima casa. Allora ho conosciuto la sua signora, già malata e grande fonte di dolore per lui. La sua firna R.A Segre per me è sempre stato un onore apporla ad ogmi suo articolo, comunque si abbracciasse o meno le sue convinzioni sulla politica mediorientale. Avrò di lui il ricordo affettuoso di una persona onesta e perbene. Spero sia dove sperava di essere. Un abbraccio e grazie per il tuo bellissimo scritto. Antonella

  • adele |

    Caro Ugo, ho letto attentamene il tuo pezzo, laciami dire che è insuperabile. Pure io ho conosciuto il nostro Segre (nalla famiglia de il giornale) ed era un uomo straordinario anche negli ultimi anni della malattia, pensa che mi dava le ricette per depurare l’organismo con erbe degli indiani che trovavo co n fatica in una erboristeria (suo conoscente) in una vietta semi nascosta nel centro di Milano e ogni tanto mi chiamava per dire ” Adele la prenda 2 volte l’anno a primavera e autunno, vedrà che sarà sempre in salute”. Non è straordinario pensare a me mentre lui soffriva. Commovente. Grazie ancora, caro Ugo un abbraccio

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