E un palestinese disse a un israeliano…..

isra pal Non sapendo cosa scrivere di nuovo su questa ripetitiva tragedia, ripubblico sul blog due dei miei commenti pubblicati questa settimana nelle pagine del Sole-24 Ore: molti  lettori di questo blog non sono necessariamente lettori del mio giornale. 

 

Immaginatevi un israeliano e un palestinese che discutono degli avvenimenti di Gaza. Per capire perché dopo tante guerre e processi di pace falliti, la tauromachia sembra essere senza fine non serve analizzare il ruolo dell’America, valutare la scomparsa di un vecchio ordine internazionale né l’efficacia di uno nuovo. Il petrolio ha scarsa presa e il dominio del mondo non conta perché Israele e Palestina insieme sono più piccoli dell’Emilia-Romagna.

Immaginatevi dunque un israeliano e un palestinese che discutono: non uno della destra nazional-religiosa ebraica e uno di Hamas. Due nella media che desiderano una soluzione del conflitto purché, comprensibilmente, non sia troppo di danno alla propria parte. Cioè la maggioranza quanto meno relativa dei due popoli.

“Avete già ucciso più di cento bambini”, dice il palestinese. “Sono i terroristi che si fanno scudo di loro”, risponde l’israeliano. “La nostra è una lotta di popolo, dobbiamo liberare la nostra terra”, ribatte il primo. “Da Gaza ce ne siamo andati nove anni fa”, insiste il secondo. Il palestinese: “Dalla Cisgiordania no, e continuate ad allargare gli insediamenti”. L’israeliano: “Se cessa il terrorismo ce ne andremo anche da lì”. “Ma quando abbiamo incominciato a parlare di pace, voi avete raddoppiato gli insediamenti”, protesta il palestinese. “Non avremmo mai occupato quei territori se nel 1967 non fossimo stati attaccati, e quando abbiamo offerto di restituirli in cambio della pace, avete rifiutato”, insiste l’israeliano. “Abbiamo rifiutato perché nel 1948 voi israeliani avevate occupato più terre di quelle che vi spettavano”. “Dovevamo creare uno Stato per accogliere i sopravvissuti dell’Olocausto”. “Cosa c’entriamo noi arabi con l’Olocausto? E comunque avete incominciato a venire qui molto prima”. “Una presenza ebraica c’è sempre stata in Palestina”. “Noi palestinesi siamo qui da centinaia di anni”. “Arabi, non palestinesi. I palestinesi non sono mai esistiti”. A questo punto la disputa iniziata su Gaza 2014, sprofonda nei millenni, a Davide e Golia, fra le righe della Bibbia e del Corano. Il dialogo, se continua, è fra sordi.

Nel 1996, dopo la morte di Yitzhak Rabin, quando inaspettatamente fu sconfitto da Bibi Netanyahu, Shimon Peres disse che “avevano vinto gli ebrei e perso Israele”: intendendo che il peso del passato aveva schiacciato il presente e il futuro. Tutti i conflitti affondano le loro radici nella storia ma non così in profondità come questo. E se isolate ogni battuta del colloquio – poi non così immaginario – troverete che ognuno afferma una ragione condivisibile. Ricomposte, quelle affermazioni formano un affresco comune di torti e di diritti difficilmente discernibili, a meno che non si scelga un campo per motivi ideologici o non si sia parte in causa della tragedia. In realtà è quasi impossibile cercare l’imparzialità, riconoscendo un insieme di verità comuni, perché i due contendenti pretendono dagli altri un’adesione assoluta.

E’ per questo che il conflitto appare inalterabile e senza via d’uscita. Il confronto fra ebrei e arabi non è solo sopravvissuto al terremoto della fine della Guerra fredda e del bipolarismo. Non c’è mutamento geopolitico che lo abbia condizionato: ogni volta che attorno le cose cambiavano, il conflitto si evolveva anziché trovare una soluzione. Era iniziato alla fine del XIX secolo, quando dominava l’impero ottomano; è continuato nel XX durante il mandato coloniale britannico della Palestina; prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale. Quando nacque Israele erano i sovietici che pensavano di sostenere il giovane Paese socialista, e gli occidentali le monarchie arabe. Invece è successo il contrario.

In questi ultimi due mesi di caos le startup israeliane hanno raccolto investimenti esteri per circa un miliardo di dollari: come se esistessero due Israele, Atene e Sparta contemporaneamente. E negli anni ’90, nella fase migliore del processo di pace, la Palestina aveva avuto una crescita economica mai conosciuta prima: questo non ha impedito che dal 2000 l’Intifada ricominciasse, vanificando il miglioramento della qualità della vita dei palestinesi.

La razionalità dell’economia non è mai riuscita a scalfire l’irrazionalità del conflitto, col tempo trasformatosi in una faida più che in un confronto fra risorgimenti nazionali. Gli israeliani sembrano crogiolarsi nella loro incapacità di uscire dall’occupazione e i palestinesi in quella di liberarsene.

E’ ingenuo pensare che la coraggiosa iniziativa di papa Francesco potesse offrire una soluzione a un’avversione così profonda fra i due popoli. Tuttavia l’aspetto più irragionevole del perdurare del conflitto è che una soluzione c’è. Esiste, costruita fra alti e bassi durante il processo di pace fra il 1991 e il 2000. Spartizione di Gerusalemme, confini, diritto al ritorno dei profughi palestinesi e colonie ebraiche, sicurezza di Israele e Stato di Palestina, risorse idriche, collaborazione economica. C’è tutto, frutto di una breve fase di pragmatismo e logica diplomatica. Manca solo la volontà di ammettere che la politica è l’arte del compromesso.

Commento numero due

“E’ con il nostro nemico che dobbiamo trattare”. La frase, solo apparentemente lapalissiana, non è del Mahatma Gandhi. E’ di un uomo che è stato un pilota di caccia, ha guidato aviatori in battaglia ed è stato ministro della Difesa. Per di più era israeliano: Ezer Weizman. Lo disse a chi, fra i suoi, nel 1978 si opponeva alla trattativa di pace con l’Egitto.

Dopo di allora Israele e gli Stati Uniti, il suo principale alleato e protettore, hanno perso molto tempo utile stilando liste di proscrizione per indicare con chi non si dovesse parlare. Già nel 1980 l’Unione europea scoprì che l’Olp in fondo era un rappresentante legittimo del popolo palestinese, e che nonostante l’ambiguità di Yasser Arafat, con lui bisognava parlare per fermare il terrorismo palestinese e cercare una soluzione al problema. In Israele farlo è rimasto vietato per legge fino al 1992. Parlare con il nemico era un reato: per avere incontrato un dirigente dell’Olp lo stesso Weizman perse il posto di ministro. Solo quando Israele comprese che non c’era alternativa al dialogo, gli Stati Uniti seguirono obbedienti. Anziché essere un amico utile, erano un alleato impotente.

Lo stesso tempo prezioso si sta perdendo ora con Hamas al quale, come “organizzazione terroristica”, è precluso ogni riconoscimento. Come l’Olp allora, il movimento islamico pratica anche il terrorismo. Ma non solo: è anche un partito che ha vinto le uniche elezioni democratiche mai fatte fra i palestinesi, è un’organizzazione sociale e, per quanto non sia una notizia positiva, governa la striscia di Gaza.

E’ come i talebani in Afghanistan. Hamas c’è e al dodicesimo giorno dell’ennesima offensiva militare israeliana, 600 morti e distruzioni, continua a combattere e fare politica. Il serio limite politico e morale di Hamas è rifiutarsi di riconoscere il diritto israeliano di esistere. Esattamente come gli attuali ministri degli Esteri, della Difesa e dell’Economia del governo d’Israele, i quali negano il diritto dei palestinesi a uno Stato.

E’ in questa simmetria del rifiuto che si possono trovare le risorse per una trattativa. Hamas ha lasciato una scia di sangue che gli israeliani non possono dimenticare. La ragione per cui l’affermazione di Weizman è tutt’altro che lapalissiana, è nella difficoltà umana e politica di parlare col nemico.  Ma è innegabile che costretti o felci di farlo, anche gli israeliani abbiano lasciato una scia significativa di sangue fra i palestinesi di Gaza. In passato segnali di contatto se ne erano visti: poco chiari, ambigui ma reali. Poi entrambi hanno continuato a pensare che l’esistenza del nemico fosse più utile alla propria causa.

Una delle ragioni della mediocrità dei successi americani in Medio Oriente allargato l’auto imposizione degli ostacoli sul proprio lavoro negoziale: non si parlava con l’Olp e poi con Hamas, non con iraniani, talebani, Hezbollah. Metternich sarebbe rimasto scandalizzato da tanta inclinazione a produrre fallimenti diplomatici. In realtà è improbabile che al Cairo John Kerry, uomo di larghe vedute, non abbia incontrato un dirigente politico di Hamas. Ma non si può dire.

Riconoscersi, ammettendo l’uno l’esistenza e qualche diritto dell’altro, non è una formula matematica del successo. Si potrebbe scoprire che, preso da un senso di onnipotenza, Hamas voglia solo la lotta. Ma se non si prova, non si saprà mai quanto vicini o distanti ci si trovi dalla pace. Le alternative d’Israele sono due: impiegare per i prossimi mesi la fanteria dentro Gaza o un’altra tregua limitata e inutile.

 

 

 

 

 

  • Giorgio Forti |

    Per avere una qualche probabilità di capire come tentare di arrivare ad una situazione di “pace”, o almeno non belligeranza, tra Israele ed i Palestinesi non è evitabile studiare le radici del conflitto a partire da…i primi anni del novecento. Non è possibile infatti fermarsi ai prodromi della più recente strage di Gaza, perchè si perderebbe di vista il nocciolo del problema, che è l’occupazione israeliana della Palestina, tutta. Occupazione non solo militare, ma con la sostituzione della popolazione palestinese, araba, con israeliani ebrei venuti all’inizio dall’Europa, i veri colonizzatori-padroni, per i quali i palestinesi “non esistevano”. Con tutte le conseguenze di sofferenza umana, oppressione civile e politica che il disprezzo tipicamente europeo per i popoli “inferiori” ha comportato: soppressione dei più elementari diritti umani, furto della terra,dell’acqua, della possibilità di spostarsi, fino a quella di convivere in Israele dove si abita con il proprio coniuge, se questo non è già residente.
    Sui Palestinesi si sono riversate le colpe, tutte europee, della Shoah di cui i Palestinesi non hanno alcuna responsabilità.USA ed Europa hanno poi sostenuto Israele qualsiasi cosa facesse, con la protezione politica e con somme enormi di denaro,in buona parte speso per armi sofisticate, compresa l’arma atomica.Solo nel 2013, gli USA hanno dato ad Israele quasi 4 miliardi di dollari solo per le armi. L’Italia ha un trattato di cooperazione militare che costa al bilancio circa 1 miliardo di €/ anno. Con molto meno si potrebbe investire in Palestina per rendere quella terra adatta a riprendere i profughi che desiderassero tornare. E’un debito che noi europei abbiamo con i palestinesi: sinora abbiamo (soprattutto la Germania) pagato ingentissime somme agli ebrei israeliani, mentre poco o nulla è stato fatto per pagare il nostro debito ai palestinesi, ai quali Europs ed America hanno imposto di cedere la loro terra ai superstiti della Shoah.Le prediche moralistiche agli israeliani non servono a nulla:si deve sospendere
    ogni trattato militare e commerciale, finchè Israele metta in atto un comportamento civile, ed attui i deliberati delle Nazioni Unite.

  • carl |

    Chissà chi ha lasciato in data odierna (ora GM 9.33.53 a.m.) quelle parentesi quadre con i puntini dentro..??
    Forse è il dott. Tramballi che da qualche imprecisata località ha voluto dare un segno di esistenza in vita (feriale o lavorativa..:o)
    A meno che improvviamente ci sorprenda pubblicando un pezzo dal più folto di una delle mischie in corso nel piccolo e grande M.O.
    Ma in fondo anche i giornalisti viaggiano non soltanto come inviati speciali, ma anche per ferie..
    Qualche giorno fa ho letto il saluto di commiato di S.Romano che diceva che chiudeva bottega (la rubrica “lettere” del Corriere della Sera) fino al 31 agosto ..:o)
    Potevo fare a meno di lasciare questo commento?
    Forse ma tanto in quel di Gaza non c’è gran che noi si possa fare di positivo..
    Ma anche il quadro generale non è esilarante. Nel nostro occidente, e specie nell’Italia nostra, infuria la disoccupazione e la stagnazione/recessione dell’economia reale.. In M.O. infuria la guerra..In Ucraina quasi.. In Africa un pò di tutto ed in più anche il virus Ebola, che dal Congo ha raggiunto la West Coast (africana).. In SudAmerica (nella pampa) infuriano i “buitres”, gli avvoltoi della finanza con l’appoggio di un tale Griesa, un giudice che, come il suo paese, non riconosce nemmeno formalmente l’esistenza del Tribunale Internazionale dell’Aia.. Altrove..
    Ma bastino questi brevi accenni allo stato del pianeta che peraltro è anche sempre più inquinato.. Adesso, oltre a tutto il resto, hanno scoperto anche un elevato tasso di mercurio (HG) negli oceani..
    Buon avvenire

  • Giovanni |

    Questa vicenda tragica ha aperto il solito dibattito della politica italiana alimentando lo scontro tra guelfi e ghibellini senza cercare poi di arrivare a capire le ragioni dell’uno e dell’altro e soprattutto a capire questa situazione “cui prodest”? A chi fa comodo? Nel dibattito troppa gente tratta questo argomento come se fosse una partita di calcio e non è una partita di calcio e i primi a capirlo dovrebbero essere i nostri politici di destra e di sinistra.

  • Fabio |

    @diego: infatti tutto è inutile. Almeno finora.

  • diego |

    Splendido articolo. Inutile commentarlo dunque. Non mi schiero con uno dei due. Se hamas dicesse accetto… si sentirebbe dire che “fanno finta”? Idem al contrario allora. Se il governo israeliano decidesse di trattare con hamas PRIMA di una simile dichiarazione cadrebbe. MA SE la diplomazia serve a rendere digeribile l’indigeribile. Sadat, dopo aver mosso guerra ad Israele, con esso trattò con grande successo. Se non si crede possibile una soluzione diplomatica tutto è inutile.

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