Prima o poi tutti noi italiani – singolarmente, come gruppi d’interesse, amministrazioni pubbliche o private – abbiamo l’occasione per fare la solita figura di cittadini mediocri. Per dimostrare cioè, che anche se impugniamo i forconi contro la “Classe Politica”, questa non è che lo specchio fedele di quel che noi siamo.
Oggi l’onore della brutta figura tocca al sindaco di Gioia Tauro Renato Bellofiore e a quasi tutti gli amministratori della Calabria: come è noto, regione che il mondo ci invidia come modello di buona e specchiata amministrazione. L’occasione che Bellofiore ha avuto per farsi notare, è stata offerta dalle armi chimiche siriane.
Come parte di un difficile accordo internazionale, in nome del quale si è sfiorato il coinvolgimento militare americano ed europeo nella crisi siriana, lo smantellamento dell’arsenale chimico del regime di Bashar al Assad, richiede una piccola partecipazione italiana. Data anche la geografia, una quantità di quel pericoloso carico – 560 tonnellate, 60 containers – deve passare dal nostro Paese, sulla strada verso il luogo in cui sarà distrutto. Per semplici ragioni tecniche, quel carico transiterà dal porto di Gioia Tauro: solo perché possa avvenire in un porto sicuro il trasbordo delle armi chimiche da una nave danese a quella specializzata della marina militare americana, che poi le distruggerà altrove.
Sia pure solo come responsabile dei corsi di scuola guida per fanti e carabinieri, prima di fare il sindaco Renato Bellofiore è stato ufficiale dell’Esercito. Dovrebbe avere assimilato quel senso di responsabilità che impongono divisa e stellette. Manco per niente. Giocando su un obiettivo errore del Governo – il ritardo nell’avvisare dell’imminente transito del materiale pericoloso da Gioia Tauro – Bellofiore ne ha approfittato per fare del melodramma. Day after in Calabria.
Alla ricerca di facile consenso che forse da amministratore pubblico fatica a conquistare, ha diffuso il panico fra i suoi concittadini. In quel clima da lui provocato qualcuno ha perfino proposto di chiudere il porto, le strade d’accesso, la regione intera: meglio la morte sulle barricate che morire di arma chimica.
Mostrando più serietà, il sindacato dei portuali aveva fatto sapere che, garantite le norme di sicurezza, non ci sarebbe stato problema a garantire il trasbordo del carico da una nave all’altra. Come un Masaniello in fascia tricolore, Bellofiore invece ha arruolato i sindaci di altri 33 comuni vicini, ha portato dalla sua il presidente della Regione e quello della Provincia di Reggio Calabria, capoluogo italiano che, fra i tanti servizi che non sa garantire, ha chiuso tutti gli asilo-nido pubblici. “La Calabria è in rivolta”, titolano oggi i giornali. Ma non per l’assenza di scuole materne a Reggio né per la mediocrità dei suoi amministratori. Aizzata da Bellofiore, una volta di più la Calabria ha trovato i colpevoli altrove.
E’ la solita protesta a prescindere di lesa autonomia. Come i termovalorizzatori, una centrale elettrica o l’alta velocità: non nel mio giardino, fatelo altrove. Questa volta, però, è anche una questione d’immagine internazionale. A Bellofiore non importa che la sua città sia parte di un processo di pacificazione mediterranea; che dia un contributo minimo e senza rischi alla lotta per l’eliminazione delle armi di distruzione di massa; che si faccia onore, offrendo un piccolo gesto di solidarietà alla popolazione siriana. Non è con queste bagatelle di pacifismo e solidarietà che si vincono le elezioni ma piuttosto gridando il più forte possibile “mamma li turchi!” .