“Adesso Cucuzza si è messo a fare il mio mestiere”, diceva indignato un collega fraterno, anche lui un tempo inviato in posti problematici del mondo. Si riferiva alla seconda e ultima puntata di “Mission”, il reality tv dedicato ai profughi, andato in onda giovedì scorso.
Sarebbe cool dire che non guardo le trasmissioni con Michele Cucuzza, il poliedrico giovane prince di Savoia, Paola Barale e altri dello showbiz casereccio. Invece l’ho fatto con mia soddisfazione: 1) perché preventivamente ne avevo scritto male e dovevo verificare, 2) perché il tema, i profughi, è parte del mio curriculum professionale, 3) appunto perché la riflessione del collega mi aveva fatto pensare.
Parto dall’ultimo punto. La crisi economica e strutturale dei giornali (l’incerto e misterioso passaggio dalla carta al web), oltre alle vicende italiane, ci impedisce di viaggiare come una volta. Mi viene da ridere quando sento dire da tutti gli editori e da molti direttori, che mandare in giro un inviato, fare reportage, costa troppo. Il danno è fatto da banchieri che si trasformano in editori, imprenditori che usano i giornali per i loro scopi non editoriali, incaricati della raccolta pubblicitaria che non sanno fare il loro mestiere, da chi scarica sui conti dei giornali i suoi fallimenti imprenditoriali, finanziari, immobiliari. Nemmeno il più disonesto degli inviati, quello dalla nota spese falsa, può competere con questi roditori delle fondamenta economiche delle aziende.
Qualche giorno fa anche il presidente Napolitano esortava il Paese a interessarsi un po’ più di politica estera. Vi sembrerà burocratico ma quando non sbarcano a Lampedusa, i profughi rientrano nel settore Esteri. E’ tuttavia estremamente difficile che oggi un direttore mandi un suo inviato in Africa e in Medio Oriente a fare un reportage sui profughi. A meno che non ci vada il presidente del consiglio: allora è un’altra cosa anche se al seguito vanno i colleghi del Politico che non sanno molto di profughi e dei loro contesti.
Comunque: questa è la realtà. E’ giusto, allora, che Michele Cucuzza ci rubi il mestiere, come dice il mio amico? Vorrei poter dire di no ma alla fine, dopo aver visto le due puntate di “Mission”, rispondo di si. Anche se ci mandassero ancora in giro a raccontare storie, il mio reportage, quello del collega del Corriere più quello di Repubblica, messi assieme, non verrebbero letti dallo stesso numero di persone che guardano Rai Uno in prima serata. Poiché comunque non ci mandano, sempre meglio che ci vada Cucuzza piuttosto che nessuno. E con questo ho risposto al secondo punto.
Il primo è conseguenziale. Avevo parlato male di “Mission” e dopo la prima puntata avevo già fatto ammenda. La ribadisco dopo la seconda. Paola Barale è meno adeguata di me a stare in mezzo ai profughi e raccontarvi di loro. Ma è proprio questo essere pesce fuori d’acqua che l’ha resa credibile ai più che non leggono i nostri giornali. Lei è come loro se fossero al suo posto: stupita, banale, commossa.
Alla fine mi sento di promuovere ”Mission”. On a aussi fait travailler le Prince, hanno persino fatto lavorare Emanuele Filiberto, Principe di Venezia e di Piemonte.
Anche se appare come controsenso, il successo di “Mission” è provato dall’insuccesso del suo share. La prima puntata, riferisce l’Auditel, ha avuto 2.165.000 spettatori, l’8,16% di share. Quando mai leggono un mio pezzo in due milioni? Ma per la tv è un flop. Su Canale 5 “Le tre rose di Eva”, soap evoluta in “romantico, dramma, giallo, noir, mistero e triller” (copio da Wikipedia), ha avuto 5.445.000 spettatori.
E’ la prova che “Mission” è stato rispettoso della realtà che voleva raccontare. L’Agenzia Onu per i profughi e Intersos che collaboravano alla trasmissione, hanno fatto “vigilanza democratica”. Se invece avessero fatto cantare Al Bano o proposto in studio un tweet fra gli ascoltatori per decidere quale dei vip avesse messo più degli altri le mani nella merda dei campi o baciato più bambini, lo share sarebbe stato competitivo con Eva e le sue rose.
Alla fine non è la Rai, Canale 5, i politici che eleggiamo, quelli ci fregano. Quanto meno non sono solo loro. Anche noi contribuiamo a darci le martellate sulle rotule. E’ vero, la nostra crisi economica morde la carne viva delle famiglie, quella politica è decisiva per il nostro futuro. Abbiamo meno tempo per gli altri. Pensando egoisticamente di far competere la nostra con la povertà dei profughi del Congo, chiediamo svago alla televisione.
Quando torneremo ad essere ricchi perché non c’è crisi che duri per sempre, continueremo a non avere molto interesse per i morti di fame. E quelli che adesso si fanno eleggere perché “gli immigrati ci rubano il lavoro”, continueranno a prendere voti perché “gli altri” attenteranno al nostro benessere finalmente ritrovato.