Fra meno di un anno, il 6 di giugno, si celebreranno i 70 anni dello sbarco in Normandia. E’ su quelle spiagge e in quei villaggi che migliaia di giovani rangers e paracadutisti americani, la “greatest generation” come l’aveva definita un libro di Tom Brokaw, morirono per la nostra libertà. E’ da lì che è incominciato il cammino della democrazia e della costruzione europea. E’ giusto preservare la nostra gratitudine storica.
Ma fra meno di un anno a fatica si troveranno reduci capaci di tornare sui luoghi di quella epica battaglia, di ricordare, di parlare. Il tempo corrode tutto, anche la Normandia e quello che ha generato. Non c’è gratitudine, amicizia né alleanza capaci di resistere più a lungo di un tempo determinato dalla caducità della memoria umana. A meno che non la si alimenti costantemente. Spiare i più sinceri degli alleati non è il modo migliore per farlo. Al contrario, stimola la riflessione opposta: a cosa serve essere alleati degli americani se ci spiano come i russi?
Se escludiamo il ministro degli Esteri Emma Bonino e Mario Mauro della Difesa, la reazione degli altri, dal Presidente del consiglio, ai diplomatici, agli accademici, è stata sconfortante. Si però, in fondo è normale, così fan tutti, non è che possiamo dichiarare guerra all’America, le spiegazioni di Obama sicuramente ci soddisferanno. Un comportamento da Paese gregario. Tanto più che Barack Obama e il segretario di Stato John Kerry hanno già ammesso le accuse, sia pure esibendo un po’ d’imbarazzo.
Non sarà per questo che usciremo dalla Nato o
che romperemo l’alleanza con gli Stati Uniti, più utile a noi che a loro. Non
saranno le microspie che impediranno alle due sponde dell’Atlantico di
costruire una grande area di libero scambio. Se il trattato commerciale fallirà,
sarà per ragioni economiche ed egoismi nazionali più gravi.
Ma
almeno indignarci per qualche giorno. Fare la voce grossa, convocare per
esempio alla Farnesina l’ambasciatore americano. Se in maniera del tutto
teorica noi spiassimo le telefonate dei congressmen, di sicuro il nostro a
Washington verrebbe chiamato al dipartimento di Stato, a Foggy Bottom. Non ci
sarebbe niente di male se, elevata la “vibrata protesta”, chiedessimo con forza
immediate spiegazioni, le scuse e garanzie perché cessi lo scandalo. L’orgoglio
ferito non conta, interessa solo a Vladimir Putin. E’ piuttosto una questione
di dignità nazionale. Questa, invece, è ancora importante.