Attenzione, la grande palude sembra incresparsi di nuovo. Alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, una specie di fiera mondiale dell’enologia con ministri della difesa, generali e spie al posto di Bordeaux e Brunelli, è successo di tutto. Serghei Lavrov, ministro degli Esteri russo ha incontrato il capo dei ribelli siriani Moaz al-Khatib il quale ha anche fatto due chiacchere con Ali Akbar Salehi, il ministro degli Esteri iraniano.
Di importanza minore, fra le altre spigolature della conferenza, si registrano le dichiarazioni di Ehud Barak, ministro israeliano uscente della Difesa: riconosce la paternità del bombardamento in Siria, la settimana scorsa; e annuncia che, perdurando la guerra civile, Israele sta pensando di occupare altro territorio siriano (Golan a parte) per creare una zona cuscinetto. Ne aveva una simile in Libano per molti anni e non fu un grande successo: Israele era abbastanza al sicuro ma centinaia di soldati israeliani morirono dentro quella zona cuscinetto.
Tornando alla Siria, in un solo giorno a Monaco, dunque, il leader delle opposizioni a Bashar Assad ha discusso e presumibilmente trattato, con i due principali sponsor del suo peggior nemico. Cosa sta accadendo? Probabilmente niente, a breve. Molto, un po’ più in là nei prossimi mesi.
Si stanno creando le condizioni per l’uscita di scena di Bashar Assad: del figlio di Hafez, non del regime che Hafez Assad ha creato e consolidato come cemento. Proprio Moaz al-Khatib, qualche giorno fa, aveva detto di essere pronto ad avviare il dialogo con il regime in cambio della liberazione di 160.000 (si, proprio centosessantamila) prigionieri politici siriani.
Tuttavia, a dispetto del numero dei
prigionieri e di quello quotidianamente crescente dei morti della guerra
civile, la trattativa è un sotto-negoziato di qualcosa di molto più grande:
diciamo la cupola dei problemi. La soluzione della questione nucleare iraniana,
in altri termini chiamata: disgelo fra Washington e Tehran.
E’ uno
dei tabù diplomatici più resistenti dell’età contemporanea. E’ caduto il Muro
di Berlino, è finito l’apartheid in Sudafrica, il caos balcanico è scoppiato e
si è spento, perfino Arafat e Sharon si sono stretti la mano. Ma dal 1979
l’America è il grande satana degli ayatollah e l’Iran per l’America è il covo
della peggiore destabilizzazione mediorientale. Graniticamente. Per la verità
Barack Obama ci aveva provato quattro anni fa ad ammorbidire la tensione,
offrendo la ripresa del dialogo. Ma per l’Iran la diabolicità americana è una
ragion d’essere della rivoluzione islamica.
Ecco che l’orizzonte mostra barlumi di luce.
Joe Biden, il vicepresidente degli Stati Uniti ripropone il dialogo diretto con
l’Iran. E Ali Akbar Salehi, lo stesso ministro degli Esteri che ha incontrato
il capo della resistenza siriana, risponde di si, se gli Usa “fanno sul serio”.
A noi altri non è chiaro cosa significhi fare sul serio ma gli americani lo
sanno. In due anni le sanzioni economiche internazionali sono costate all’Iran
il 6% del Pil.
Secondo l’Agenzia Nova, il faccia a faccia
sarebbe iniziato da giorni: Ali Larijani, il presidente del Parlamento
iraniano, sarebbe già stato due volte negli Stati Uniti solo quest’anno per
incontrare i negoziatori americani. Ed ecco che si annuncia la ripresa della
trattativa nucleare fra Tehran e i 5+1: i cinque Paesi membri del Consiglio di
sicurezza Onu più la Germania (una volta c’eravamo anche noi ma Berlusconi
pensò bene che all’Italia, importante partner commerciale dell’Iran, quel
negoziato non interessasse).
La conferenza del 5+1 si svolgerà alla fine
del mese in Kazakistan. Ed è possibile che in quell’occasione Stati Uniti e
Iran s’incontrino direttamente, senza intermediari, iniziando il disgelo della
loro guerra fredda. Gli scenari che si aprono riguardo a una soluzione del
nucleare iraniano e, per default, della guerra civile iraniana, faranno felici
gli uomini di buona volontà.
Forse non sarà contento Bibi Netanyahu che
vorrebbe bombardare per mostrare di essere sempre il capo in Israele.
Sicuramente saranno ancor meno felici i sauditi e gli emiri del Golfo che
avevano trasformato le primavere arabe in uno scontro risolutivo dello scisma millenario
fra sunniti (loro) e sciiti (l’Iran, Hezbollah libanese, Bashar Assad e la sua
setta alawita). Il gioiello della corona per la quale lottano era e resta il
ritorno della Siria alla sfera sunnita.