Ora che la calma è tornata, repentina come la violenza esplosa nei giorni passati, è forse venuto il momento di tentare di capire. Capire se un’ondata d’immotivato odio anti-occidentale, spesso spontaneo ma alla fine sempre utilizzato dalle reti del fondamentalismo estremo, abbia vanificato tutto quello che è accaduto in questi ultimi due anni.
La sfortuna delle Primavere arabe è che i tempi dell’informazione e della polemica politica sono diversi da quelli della storia. Attribuito agli eventi in Medio Oriente il nome stagionale così “sexy” (un parallelo con la Primavera di Praga del 1968), lo abbiamo messo in discussione a partire dal giorno seguente. Ogni volta che un episodio contraddice la nostra idea della loro Primavera, l’intera e complessa vicenda che coinvolge Paesi, regioni, fedi e interessi economici, viene semplificata in un fallimento. E’ sempre possibile che finisca in un grande fallimento ma è troppo presto per la sentenza.
In questi giorni in particolare, sfogliando le pagine dei giornali, navigando fra i siti, ascoltando radio e guardando tv, l’esigenza della sintesi e di un titolo, hanno creativamente deformato la denominazione originale e la realtà: “Dalla Primavera all’Autunno”, “Autunno caldo”, “Inverno arabo”. In realtà questo è avvenuto più nei nostri che negli altri media occidentali. Una rivoluzione è stata trattata come un ingorgo stradale. Nessuno ha tenuto conto che in strada erano scese poche migliaia di violenti mentre nelle precedenti manifestazioni, le battaglie per i diritti civili, gli arabi erano invece centinaia di migliaia.
Negli anni successivi alla presa della Bastiglia, la rivoluzione francese ha prodotto il Terrore, la dittatura Napoleonica e la restaurazione monarchica. Per rivedere una repubblica, la ragione per cui Parigi era esplosa nel 1789, i francesi hanno dovuto aspettare fino al 1848. E fu comunque una repubblica di breve durata. Eppure oggi noi ricordiamo la rivoluzione francese come un pilastro fondamentale delle libertà europee. E’ questo il tempo della storia, diverso da quello dell’informazione giornalistica.
Il vero centro nevralgico di
tutto, delle manifestazioni e delle Primavere, è l’Egitto. E la tenuta della
Primavera in Egitto non deve essere giudicata da quello che è accaduto venerdì
in piazza Tahrir, per quanto drammatici siano stati gli avvenimenti, ma da
quello che verrà fatto nei prossimi mesi: quale nuova Costituzione sarà
scritta, che elezioni parlamentari si svolgeranno e quando. “Gli attori sono
chiari, il processo non lo è”, dice Nathan Brown esperto del Carnegie, uno dei
più importanti think-tank di Washington.
Il presidente Mohamed Morsi è
stato eletto democraticamente ma quella egiziana è in realtà una democrazia
delegata. Non essendoci stato un processo coerente di riforme (non accade quasi
mai nelle rivoluzioni) e avendo estromesso i militari dal vertice decisionale,
oggi Morsi ha lo stesso potere assoluto che aveva Mubarak: non c’è una nuova Costituzione
che ne limiti i poteri né un Parlamento dal quale le opposizioni possano
parlare. Tecnicamente è tutto come prima, praticamente ogni cosa è in divenire.
E’ su queste vicende,
probabilmente meno attraenti di uno scontro di piazza dal Maghreb al Golfo Persico,
che si gioca il futuro delle Primavere. Il nostro scetticismo è un
atteggiamento sano, l’ottimismo un sentimento necessario.