Perché l’unica seria manifestazione di sostegno ai due marò prigionieri in India, l’hanno fatta la settimana scorsa a Roma i fascisti? Proto o post-fascisti, chiamateli come volete: Alemanno, Polverini, La Russa, Gasparri… Perché in prima fila c’era l’ex ministro della Difesa, Ignazio La Russa, il maggior responsabile del dedalo legale nel quale sono finiti i nostri due soldati? Fu lui a inventarsi la bella idea di mettere militari italiani sulle navi per difenderle dai pirati, a spese degli armatori, senza garantire una chiara copertura riguardo al diritto internazionale.
E perché devo vedere sulla facciata di Palazzo Marino a Milano, sede del sindaco che ho votato e rivoterei domani, solo la solidarietà per Rossella Urru e non anche per Massimo Latorre e Salvatore Girone? Le missioni erano diverse, diversi i doveri: ma anche i due marò stavano facendo i loro. Proteggevano dalla pirateria la libertà di navigazione internazionale e una nave italiana.
Ormai 67 anni dopo la fine del fascismo abbiamo ancora dei pregiudizi verso le divise. In nome di un pacifismo retorico e ideologico dimentichiamo il grande lavoro che i Carabinieri hanno fatto nella ex Jugoslavia. O che israeliani ed Hezbollah, a furor di popolo, hanno chiesto che i caschi blu Unifil nel Sud del Libano, tornassero sotto il comando di un generale italiano. Non sono molti i successi del cosiddetto “sistema paese” che di questi tempi possiamo rivendicare.
Intanto in India la corte Suprema ha rinviato di nuovo, al 26 luglio, la decisione su chi abbia in diritto di giudicare Latorre e Girone: se la legge italiana o la loro. Altro tempo, altre decisioni non prese. Forse anche per la nostra mancanza di pressione dell’opinione pubblica, gli indiani stanno scaricando sui nostri due soldati tutti i loro limiti: un nazionalismo becero, lo scontro irrisolto fra autonomie locali e poteri centrali, la rissosità del loro sistema politico. L’India è in crisi. L’economia sta andando male e il governo centrale sembra paralizzato, incapace di riprendere le riforme, vittima di un nuovo sciovinismo verso gli investimenti stranieri che in questo ventennio hanno contribuito al successo indiano. Solo per una manciata di voti, solo per ambizioni politiche, solo per cambiare discorso sulla rampante corruzione del sistema (no, non stiamo parlando dell’Italia: gli indiani sono come noi, non sono quei principi di democrazia, di moralità e di crescita che pretendono di essere).
Con grande civiltà e pazienza il nostro governo continua a trattare attraverso il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura e l’ambasciatore a Delhi Giacomo Sanfelice. Non vogliamo fare la guerra all’India (non contento dei guai fatti, il simpatico La Russa aveva proposto anche una liberazione dannunziana dei due marò). Non vogliamo rovinare buone relazioni che durano da decenni, anche se non c’è mai stato l’amore sbocciato fra noi e la Cina. De Mistura e Sanfelice stanno facendo il loro lavoro diplomatico ed è giusto che lo facciano. Noi cittadini che non abbiamo di questi doveri potremmo fare qualcosa di diverso: per esempio boicottare l’India e soprattutto il Kerala. Non c’è bisogno di rimettere in gioco le relazioni economiche. Basta decidere di non andarci in vacanza fino a che Latorre e Girone non torneranno a casa. L’India è un bellissimo Paese e il Kerala è un gioiello. Sul turismo stanno investendo molto. Non sono posti solo per ricchi: nel Subcontinente ci si può andare con poco. Protestiamo non andandoci.