Immaginatevi il pilota e il navigatore di un Tornado italiano in volo verso l’obiettivo nemico sul quale hanno l’ordine di sganciare una bomba atomica. Non è un film di fantapolitica. Tecnicamente è possibile, lo prevede la Nato in caso di minaccia all’Europa.
A parte la Francia e la Gran Bretagna con i loro arsenali nazionali, in Italia, Olanda, Germania, Belgio e Turchia ci sono altre 200 testate nucleari non strategiche: non possono essere montate su missili balistici e volare da un continente all’altro ma trasportati da un caccia-bombardiere riuscirebbero ad andare abbastanza lontano e fare il loro effetto. Le bombe sono americane ma devono essere usate con il consenso dei 27 alleati. Presa la decisione, la missione deve essere eseguita da un equipaggio del Paese dove è stazionato l’ordigno, tranne che in Turchia.
Dunque un pilota italiano potrebbe ricevere l’ordine di sganciare un’atomica. Il problema (non è un problema, è una fortuna) è che da un bel po’ non esistono gravi minacce all’Europa. Come ammette il Concetto Strategico Nato del 2010, “le circostanze nelle quali l’uso di armi nucleari potrebbe essere contemplato, sono estremamente remote”. Un attacco cibernetico russo ai computer estoni, come accadde nel 2007 o il blocco di un gasdotto non giustificherebbero una risposta nucleare. E l’Iran è lontano.
Sembra evidente che l’arsenale europeo, per quantità simile a quello cinese e all’israeliano, sia piuttosto datato. Un reperto della Guerra fredda, quando da Stettino alla Soglia di Gorizia un’invasione delle divisioni corazzate sovietiche era un’ipotesi. Una ragione di riconoscenza verso quel vecchio arsenale dovremmo comunque averla: sono i resti dell’ “ombrello nucleare” americano sotto il quale abbiamo vissuto in sicurezza. Grazie a quello anche l’Italia ha potuto rinunciare al suo programma nucleare militare.
Ma il tempo passa, le minacce sono altrove e bisogna pensare ai costi. Per questo è in corso una revisione strategica (“Deterrence and Defense Posture Review”), il cui risultato Barack Obama presenterà al vertice Nato di Chicago, a maggio. L’atomica probabilmente scomparirà dall’Europa. Leon Panetta, il segretario alla Difesa, sta cercando di risparmiare 450 miliardi di dollari e come per una coperta non più infinita, cerca di spostare armi e soldati dove servono.
Il problema sono i soldi, appunto. Rinunciando al nucleare, l’Europa dovrebbe creare una nuova deterrenza capace di rispondere alle nuove sfide. Ma questo costa più delle 200 bombe atomiche: obsolete per contenere le minacce di oggi ma alla fine sempre capaci di fare la loro figura. Perché è inutile illudersi che esista un mondo migliore: per quanti trattati sul disarmo siano stati firmati, chi ha la bomba conta più di chi non ce l’ha. E’ per questo che Israele, India, Pakistan e forse la Corea del Nord se la sono fatta; che la vuole l’Iran e se ci riesce lo imiteranno in tanti.
Le cose avrebbero potuto essere diverse. Accadde una volta sola, a Reykjavik, l’11 e il 12 ottobre 1986. Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov arrivarono a un passo dall’abolire le armi nucleari. Se fosse accaduto allora, le altre potenze più piccole sarebbero state costrette ad adeguarsi. Ma non accadde, Reagan e Gorbaciov ebbero paura della loro stessa visione. “Quando le generazioni future leggeranno le registrazioni dei nostri colloqui, non ci perdoneranno di aver perso questa opportunità” , disse Eduard Shevardnadze. In effetti….