Piuttosto che “ruggire come un leone”, Israele strepita “come un gatto chiuso in un angolo”, dice l’ayatollah Mahmud Alavi, uno dei saggi dell’Assemblea degli Esperti. Il religioso iraniano mostra i muscoli ma lui e il suo Paese sanno di scherzare col fuoco. L’Agenzia Onu per l’energia atomica, la Iaea, sta per pubblicare un nuovo rapporto che smentirà il governo di Tehran: quello che stanno facendo in Iran non è un programma nucleare civile. E questo basta agli israeliani per sentirsi legittimati a bombardare.
Nella base di Parchin, 30 chilometri dalla capitale, gli iraniani avrebbero già simulato delle esplosioni al computer e miniaturizzato alcune parti, entrando nella fase finale della militarizzazione della bomba. L’agenzia dell’Onu non arriverà a denunciare pubblicamente i dettagli scabrosi , ma il materiale che hanno ottenuto dai servizi segreti di 10 Paesi chiarirebbe che l’obiettivo del programma non ha scopi pacifici. La Iaea sostiene che nella centrale di Natanz c’è mezza tonnellata di plutonio. Una volta arricchita al 90% permetterebbe di costruire quattro o cinque ordigni.
Il rapporto non chiederà al Consiglio di sicurezza d’imporre nuove sanzioni contro l’Iran. Russia e Cina non lo permetterebbero. In qualche modo sancirà l’ineluttabilità della marcia verso l’arma nucleare, quando un Paese è determinato ad averla. L’Unione Sovietica alla fine degli anni ’40, la Cina nei ’50, Israele nei ’60, l’India nel decennio successivo, poi il Pakistan e la Corea del Nord.
Con la fine della Guerra fredda, solo Sudafrica, Ucraina, Bielorussia e Kazakistan hanno rinunciato alla bomba. Lentamente, la riduzione globale degli arsenali è in corso. Tuttavia molti Paesi che si dichiarano non nucleari hanno materiale e tecnologia per realizzare la bomba. Per non incorrere nelle sanzioni dell’imperfetto Trattato sulla Non Proliferazione, semplicemente non l’assemblano. Ma possono farlo in poche settimane.
L’arma nucleare non è solo l’ultima e definitiva risorsa della sicurezza nazionale: ancora oggi continua a fare di chi la possiede un Paese più potente di chi non ce l’ha. L’unica cosa che veramente accomuna i cinque membri del Consiglio di sicurezza e che continua ad autorizzare a definirli “grandi”, 66 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è la bomba. Per gli indiani la deterrenza nucleare equivale alla crescita economica: come se quest’ultima fosse la conseguenza naturale dell’acquisizione atomica.
L’India fece la bomba per cercare un equilibrio strategico con la Cina. Ma il risultato fu la proliferazione pakistana, intrapresa per contenere l’India. E in una catena di proliferazione che non si ferma, il Pakistan ha preoccupato l’Iran. Le ambizioni nucleari iraniane non sono stimolate solo dall’esistenza dell’arsenale israeliano a Ovest ma anche da quello Pakistano (musulmano ma sunnita) a Est e Russo a Nord.
Per quanto sia ingiusto che Israele sia l’unica potenza nucleare del Medio Oriente, da cinquant’anni il mondo arabo ci convive senza grandi problemi. Ad eccezione di Saddam Hussein e di Gheddafi, nessuno ha mai seriamente tentato una corsa al riarmo nucleare per sfidare Israele, come l’India con la Cina e il Pakistan con l’India. Per gli israeliani il loro arsenale di 80, forse 100, qualcuno dice fino a 200 testate, è solo l’ultima risorsa della loro sicurezza nazionale: non ne hanno mai fatto un uso politico. Il loro atteggiamento è simile a quello che l’amministrazione americana aveva fino all’anno scorso sull’orientamento sessuale dei militari: don’t ask, don’t tell. Non negano e non confermano. Invece, prima ancora di averla (poi non l’ha mai avuta) Saddam Husssein già ne propagandava l’imminenza per assumere prestigio e potere nel mondo arabo. E’ per questo che sauditi ed egiziani temono il programma nucleare iraniano più di quello già realizzato da Israele. Se l’Iran fa la bomba, dovranno farla anche loro. Non fidatevi quando a Riyadh e al Cairo denunciano i pericoli di un bombardamento israeliano sulle centrali iraniane: se lo augurano. Lo sa anche l’ayatollah Alavi. Finge sicurezza ma resta preoccupato.