I nostri risparmi si restringono, le azioni crollano. Forse l’euro potrebbe scomparire come il posto sicuro per i nostri figli. Ma cosa pensano della grande crisi d’Occidente i morti di fame? Non noi, quelli veri. Quegli esseri umani che al tasso di uno ogni 3,6 secondi muoiono per assenza totale di cibo: soprattutto in Africa, in parte nell’Asia meridionale e qualcuno ancora in America Latina.
Non voglio fare della facile retorica. La crisi europea è una cosa seria e non sappiamo come finirà e quanto ci costerà. Ma anche gli altri continuano ad esistere comunque vada il vertice di Cannes e tutti quelli che verranno. L’unica certezza sul futuro del mondo in cosiddetta “via di sviluppo” è che domani avrà ancora fame. Se noi siamo in una stagione di crescita economica, può sperare in un aiuto umanitario un po’ più sostenibile nel tempo. Ma se gli spread sollevano la nostra ansia, sarà anche vittima della nostra disattenzione.
Perché il comportamento delle società civili nel mondo avanzato è l’anello finale di una catena che determina la speranza o la povertà, la vita o la morte di un paio di miliardi di persone. Prima vengono l’avidità dei mercati internazionali e la corruzione dei governi locali, quelli che partecipano attivamente alla disperazione dei loro stessi popoli. Quando si parla di fame nel mondo le statistiche si sprecano: non c’è che da scegliere. I 15 milioni di bambini che muoiono ogni anno per assenza di cibo; il mezzo miliardo di persone che sopravvivono nella “povertà assoluta” (la definizione è della Banca Mondiale); i tre miliardi che vivono con due dollari al giorno. Il mondo è diviso per indicazioni geografiche, geopolitiche ed economiche. La più cruda è questa: un terzo di ben nutriti, un terzo di malnutriti, un terzo di non nutriti.
Se andate sul sito delle Nazioni Unite troverete ancora l’esaltante annuncio del Millennium Goal: “Possiamo eliminare la povertà nel 2015”, cioè fra quattro anni. Ma con quali soldi e quale generosità in Occidente contribuiremo a dimezzare la popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno; a raggiungere l’educazione primaria universale; ridurre di due terzi la mortalità infantile sotto i cinque anni; occuparci “in maniera globale del problema del debito dei Paesi in via di sviluppo”? Sono alcuni degli obiettivi che il Millennium Goal delle Nazioni Unite si era dato per il 2015. Prima della crisi italiana, dell’euro e della finanza mondiale i Paesi donatori si erano impegnati a investire almeno lo 0,7% dei loro Pil nell’aiuto allo sviluppo. Pochi lo avevano raggiunto, quanti lo faranno ora?
Come un rompiscatole della nostra coscienza adesso impegnata a contare gli spiccioli che ci restano a fine mese, Medici Senza Frontiere manda ai giornali comunicati come questo: “Il sistema degli aiuti alimentari non sfama i bambini malnutriti”. Spiegano in sostanza che la maggior parte dei nostri aiuti alimentari comprendono farine a base di mais e soia prive delle proteine necessarie perché i bambini del Terzo Mondo crescano sani. “La malnutrizione – una malattia prevedibile e curabile – colpisce 195 milioni di bambini ed è la causa nascosta di almeno un terzo degli otto milioni di decessi di bambini al di sotto dei 5 anni”. Non troviamo una soluzione alla crisi greca e ci chiedono di risolvere quella alimentare di un continente: non basta che gli diamo da mangiare, vogliono mangiare meglio. Se ne riparla più avanti, fra qualche altro milione di morti e di rachitici, quando le Borse riprenderanno a volare. E quando lo scandaloso mercato dei futures sulle commodities continuerà come sempre a speculare sui morti di fame. Non noi, quelli veri.