Non sono le complessità della geopolitica fuori dalla Cappella Sistina, che spingono i cardinali a eleggere un papa. Le considerazioni che li hanno portati a scegliere Robert Prevost sono più ampie. Riguardano la condizione della Chiesa; la necessità di cercare l’unità fra posizioni distanti; se e quali riforme la dottrina e i tempi consigliano.
Non fu Giovanni Paolo II a provocare il crollo del comunismo. Molto più decisive sono le figure di Mikhail Gorbaciov e Ronald Reagan; il disastro dell’Afghanistan e la crisi degli Euro-missili; il collasso dell’economia del piano e la gerontocrazia brezneviana, incapace di rinnovarsi. Questo fu la causa del crollo dell’Urss.
Ma nella Cappella Sistina, il conclave del 16 ottobre 1978 elesse comunque un cardinale polacco anziché italiano, come accadeva dal 1523. Ed è difficile pensare che le considerazioni politiche fossero rimaste fuori dalla porta: “extra omnes”. Nell’impero sovietico erano scoppiati tumulti nella Germania Est, in Ungheria, a Praga. Ma in nessun altro paese come nella cattolicissima Polonia la protesta era stata cosi resistente: nel 1956, ’68, ’70, ’76 e ’77. Già negli scioperi del 1970 ai cantieri navali di Danzica aveva incominciato a prendere corpo il sindacato che nel 1980 sarebbe nato col nome di Solidarnosc.
Dunque è vero che nei momenti decisivi o incerti della storia, la realtà geopolitica contribuisce a indirizzare le scelte del conclave. Anche questa è una fase incerta, quella che papa Francesco chiamava “terza guerra mondiale combattuta a pezzi”.
Nell’attesa che mai era stata vissuta in modo così aperto dall’opinione pubblica e dai media, forse la stampa generalista e gli osservatori laici avevano dato un peso spropositato agli avvenimenti del mondo. Ma questi ultimi erano negli appunti dei cardinali in conclave. La guerra di Gaza e le instabilità della Terra Santa avevano aumentato le chances di Pierbattista Pizzaballa, il Patriarca di Gerusalemme. In una realtà nella quale è molto facile essere accusati di sionismo dai palestinesi e di antisemitismo dagli israeliani, Pizzaballa ha dimostrato un raro equilibrio fra i due nemici.
Un’altra ipotesi sulla quale si è speculato, era un papa dell’Estremo Oriente. E’ la regione del mondo più popolosa e questo è “il secolo dell’Asia”. Un capo filippino della Chiesa, il paese più cattolico del continente; o addirittura cinese dopo il compromesso con il governo di Pechino sulla nomina dei cardinali, voluto da Francesco, erano una chiave di lettura molto battuta.
Invece è diventato papa un americano di Chicago, città storicamente democratica. Al netto delle altre considerazioni sul futuro della Chiesa, i cardinali hanno fatto la più geopolitica delle scelte possibili. Non c’è altro paese capace di determinare l’andamento del mondo, e così imprevedibile nei suoi comportamenti. In Israele Donald Trump aveva mandato un ambasciatore secondo il quale “non esiste un popolo chiamato palestinese”. Ora, scrive il Jerusalem Post, questa settimana a Riyadh il presidente potrebbe annunciare il diritto dei palestinesi all’indipendenza nazionale.
La guerra dei dazi con la Cina voluta da Trump è probabilmente lo scontro più destabilizzante fra i molti causati dalla sua amministrazione. Leone XIV non si occuperà di tariffe doganali né offrirà una formula di pace in Medio Oriente. Ma come pastore americano, missionario in Perù, sensibile alle questioni migratorie, alla carità e alla povertà imposte dall’ordine di Sant’Agostino al quale appartiene, è nelle cose l’opposto di Donald Trump.
Non è il papa americano che MAGA voleva, sebbene Robert Prevost sia un pragmatico: cercherà il dialogo con l’amministrazione repubblicana. Ma superati i cento giorni di governo non sembra che alla Casa Bianca la parola d’ordine sia pragmatismo. Convertitosi da poco al cattolicesimo, il vicepresidente J.D. Vance, è il cortigiano-capo di Trump. Ma è anche l’ideologico e il futuro di MAGA: per lui la Chiesa ha il compito di sostenere la svolta politica illiberale che predica per l’intero Occidente. Diversamente da Trump, papa Prevost non ha la presunzione di fare miracoli. Ma nel 452, sulle rive del Mincio, il suo predecessore Leone I era riuscito a fermare Attila. La Storia potrebbe ripetersi.