I primi a Gaza, i secondi in Siria, israeliani e russi hanno commesso il medesimo errore: credere che in Medio Oriente quando è complicato vincere (lo è sempre), un conflitto possa essere gestito, governato, congelato nel tempo fino alla sua irrilevanza. Le guerre quaggiù, invece, sono una somma di ragioni nazionali, settarie, tribali, religiose: non hanno termine. Si possono controllare ma entro un tempo determinato: presto o tardi esplodono di nuovo.
Bibi Netanyahu credeva di avere edulcorato la questione palestinese fino a farla sparire dalla scena internazionale, nonostante un’occupazione sempre più brutale. Di “stato palestinese” non parlavano più gli americani, gli europei, nemmeno i sauditi. Nelle nostre università nessuno manifestava esibendo la kefya. Poi 14 mesi fa, il 7 ottobre, Hamas ha riacceso il conflitto nel modo più brutale possibile, al quale Israele ha risposto – e continua a farlo – nel modo più brutale possibile.
Anche Vladimir Putin credeva di aver raggiunto i suoi obiettivi in Siria. Nell’impossibilità di normalizzare tutto il paese sotto il giogo della famiglia Assad, i russi si erano accontentati di liberare dalle milizie la Siria “che conta”: la capitale, le città più importanti e la costa, sulla quale la flotta russa riguadagnava uno sbocco nel Mediterraneo. Poi dal deserto e dai quartieri delle città devastate dai bombardamenti di dieci anni fa, è ricomparsa Hayat Tahrir al-Sham. Allora non era una delle milizie più importanti: ora minaccia Damasco.
C’è poi il Libano, attraverso il quale sono passati americani, francesi, italiani, caschi blu dell’Onu, iniziative pan-arabe e contingenti di pace occidentali; e oggi ancora iraniani, siriani, israeliani. Nell’incapacità di vincere, chi più, chi meno ora si affida ai 10mila uomini relativamente addestrati dell’esercito libanese. E’ dallo scoppi della guerra civile nel 1975 che l’Armée Libanaise non risolve i conflitti semplicemente perché nella sua composizione delle sue brigate riflette le divisioni settarie del paese. Dovrebbe funzionare ora, spingendo Hezbollah lontano dal confine con Israele, a Sud. La missione appare difficile.
Gaza, la Siria, il Libano ed eventuali altri conflitti che potrebbero incendiarsi di nuovo in Iraq o altrove nel Levante, sono guerre e storie politiche differenti. Non sono legate fra di loro ma ognuna in qualche modo influisce sulle altre e contribuisce a mantenerle in vita. Tutte, in ogni caso, tendono a demonizzare l’avversario, rendendo ancor più difficile la ricerca di un compromesso. Per Israele tutti i palestinesi sono terroristi. Anche per il regime di Bashar Assad lo sono tutti gli oppositori.
Con la pretesa di avere un’agenda regionale e non solo libanese, Hezbollah lanciava missili su Israele in solidarietà con i palestinesi di Gaza; Hamas aveva attaccato il 7 ottobre, convinto di sollevare l’intero mondo arabo contro l’occupazione israeliana. Hayat Yahrir al-Sham, ora sta combattendo assieme a una congerie di milizie tribali e religiose, con la protezione turca. Ma ha potuto scatenare di nuovo la guerra civile siriana, approfittando del vuoto lasciato dalla Russia, impegnata in Ucraina; da Hezbollah, degradato dai bombardamenti israeliani nel Sud del Libano; e dal regime iraniano che ha abbassato la guardia, preoccupato dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Anche i curdi ne hanno approfittato, temendo che la nuova amministrazione decida di ritirare ial Nord della Siria i distaccamenti americani in loro difesa.
Siria e Israele sono un buon esempio delle due costanti che alimentano le guerre senza fine del Medio Oriente. Come una legge della fisica, anche nei conflitti se qualcuno crea un vuoto ritirandosi o distraendosi, qualcun altro lo riempie. Il passaggio non è mai indolore. Il caso israeliano insegna invece che nessuna guerra che si combatte quaggiù– lo stato ebraico ne ha fatte molte – risolve le cause politiche che l’hanno provocata. Di solito le alimenta o ne crea di nuove.
E’ questa la grande Anabasi mediorientale: in greco antico significa “spedizione”. Senofonte ne aveva raccontata una nel quarto secolo Avanti Cristo: 10mila mercenari greci entrano nella regione, attraversandola per aiutare un usurpatore a conquistare la Persia. La missione fallisce e incomincia una marcia di ritorno senza fine.
Anche oggi governi ed eserciti entrano facilmente nei conflitti 2.0 del Medio Oriente. Come 2.400 anni fa, uscirne è sempre più complicato. E non è mai senza perdite.