Il cancro dell’occupazione

I palestinesi di Gaza, chiusi fra l’ordine di evacuazione degli Israeliani e quello di Hamas di restare a fare da scudo al bombardamento o all’invasione nemica, sintetizzano due momenti fondamentali della crisi: la tragedia umanitaria dei due milioni di abitanti della striscia e la capacità di Hamas di prendersi gioco della potenza militare israeliana.

Al movimento islamico palestinese importa poco del destino dei civili di Gaza: sono solo una specie di arma tattica nel loro arsenale. Forse neanche agli israeliani interessano molto: soprattutto dopo il massacro orrendo nei kibbutz di frontiera. Tuttavia il loro comportamento è ora sotto attenta osservazione internazionale: il tipo di offensiva militare israeliana contribuirà a determinare lo svolgimento della crisi e il possibile allargamento alla regione. Dopo la principale preghiera del venerdì, in Giordania e in molti altri paesi arabi e musulmani ci sono state grandi manifestazioni popolari a favore della causa palestinese. Non se ne vedevano da tempo.

Oltre a ribadire l’appoggio incondizionato dell’America, il segretario di Stato Usa Antony Blinken è andato a Gerusalemme per esortare Bibi Netanyahu alla moderazione. I due punti apparentemente inconciliabili – sostegno e limiti alla libertà d’azione – sono stati ripetuti dagli europei, dagli arabi con i quali Israele ha rapporti diplomatici ed economici, dall’Onu. Ma non è con la sobrietà che Bibi Netanyahu può raggiungere la cancellazione di Hamas, promessa alla sua opinione pubblica.

In questi giorni gli israeliani stanno vivendo una specie di regressione temporale: sentono di essere tornati allo stato d’insicurezza nazionale precedente alla guerra dei Sei Giorni del 1967. In quel conflitto conquistarono il Sinai, Gaza, Gerusalemme Est araba, la Cisgiordania e il Golan. Dimostrarono una superiorità militare impareggiabile ma fu anche l’inizio della crisi in cui si trovano oggi. Fu una vittoria e la principale tragedia d’Israele: l’occupazione dei territori palestinesi.

Avevano offerto ai nemici arabi la restituzione dei territori conquistati in cambio del riconoscimento dell’esistenza d’Israele: gli arabi rifiutarono. Avevano incominciato a costruire colonie, alimentando il cancro del nazionalismo religioso che oggi sta consumando il paese. Avevano avviato con i palestinesi un processo di pace e insieme – israeliani e palestinesi – lo avevano fatto fallire. Come conseguenza di tutto ciò, fino a sabato scorso avevano vissuto in uno stato di negazione: senza una soluzione a portata di mano; con le paci offerte dai paesi arabi che dell’inumano trattamento dei palestinesi non chiedevano conto; con la crescente stanchezza internazionale verso il conflitto, gli israeliani si erano illusi di poter nascondere sotto il tappeto diversi milioni di palestinesi.

In qualche modo l’imprevedibile comportamento sanguinario di Hamas ha spinto governi amici e non, e le opinioni pubbliche del mondo intero a sostenere il diritto d’Israele a difendersi e contemporaneamente quello dei palestinesi ad avere un futuro. Ci voleva il più orribile dei massacri possibile per capire che per evitarne un altro serve una risposta alla condizione dei palestinesi.

E’ dunque possibile che quando finirà quest’ennesima crisi si potrà riprendere un dialogo? Che la soluzione dei due stati possa essere raggiunta? Forse. Ma è difficile: ciò che sta accadendo da sabato scorso aumenterà l’odio e la sfiducia fra i due popoli. Gli israeliani crederanno anche più di prima che dei palestinesi non ci si può fidare; e i palestinesi erroneamente si convinceranno che ora Israele si possa vincere con la lotta armata.

C’è infine l’aspetto geografico. Le colonie ebraiche si sono così moltiplicate che difficilmente potrebbe nascere uno stato palestinese con una continuità territoriale che lo possa far funzionare. Anche con i limitati scambi territoriali che la trattativa di Oslo aveva preso i considerazione, è impossibile trasferire 500mila israeliani dentro le frontiere internazionalmente riconosciute d’Israele. Yossi Beilin, l’israeliano che preparò il miracolo di Oslo, pensa che esista una sola soluzione: lasciare tutti dove sono. Gli israeliani in Palestina e i palestinesi in Israele. Ma tutti, ovunque siano, cittadini del loro stato. Perché funzioni i due popoli dovrebbero almeno rispettarsi. Per ora non se ne vede traccia.

 

Commento pubblicato sul Sole 24 Ore il 14/10/23

 

  • PAOLO CALZINI |

    uNA CONSIDERAZIONE NEL MERITO DEL RILIEVO POLITICO E DI IMMAGINE DELL’ATTACCO DI HAMAS.:SE LATTACCO SI FOSSELIMTATO A UN INCURSIONE SPERICOLATA IN TERRITORIO NEMICO EVITANDO DI TRADURSI IN UN DISUMANO MASSACRO DI CIVILI , AVENDO COME OBBIETTIVO LA DISTRUZIONE DI STRUTTURE MILITARI E SCONTRO A FUOCO CON I SOLDATI ISRAELIANI, IL GIUDIZIO A LIVELLO DI OPINIONE PUBBLICA MONDIALE SI SAREBBE TRADOTTO EVERSOMILMENTE PER MOLTI IN UN APPREZZAMENTO PER L’AUDACIA DI UN IMPRESA CONTRO UN AVVERSARIO FORTE IN UN GRADO DI EVIDENTE SUPERIORITà MILITARE RECNOLOGICA E DELLA SOLIDARIETà DI PRINCIPIO DELLE POTENZE OCCIDENTALI

  • carl |

    Sono e rimango convinto del fatto che a questo mondo sarebbe/sia sempre e comunque necessario mettersi nei panni non solo del cittadino, del consumatore, dell’elettore, ecc. ma anche e sopratutto dell’antagonista, dell’avversario, o degli antagonisti e degli avversari di turno.
    Orbene se oggigiorno nei panni dei cittadini, consumatori, elettori, ecc. si mette un vero e proprio nugolo di prezzolati specialisti che provvedono a metterli praticamente ” a nudo”, a passarli, per così dire, alla TAC e ai “raggi X”.. Insomma ad analizzarne i comportamenti, ecc. in profondità e con svariati mezzi, tecnologie, ecc. ed il tutto con delle finalità, obiettivi, scopi, ecc. assai terra-terra… Così come assai raso terra, nel senso di “sprovveduti”, vengono considerati coloro che sono oggetto di dette analisi, valutazioni, ecc.
    Per contro non ci si suole mettere con altrettanto “impegno” nei panni di antagonisti ed avversari, bensì ci si suole limitare a valutazioni ed analisi sbrigative, sommarie, arbitrarie, insomma fatte “a spanne”, “a occhio”, “a peso”, ecc….
    Fatta questa premessa, quali sono i programmi del gabinetto ebraico nei riguardi di Hamas? Stando ai suoi minacciosi propositi il premier in carica si ripromette che: “Hamas sparirà..Uccideremo tutti i suoi membri..ecc.”. E, così dicendo, possiamo forse escludere che egli calcolatamente pensi: “Mi si dà per politicamente spacciato, ma riuscendo a raggiungere l’obiettivo di far sparire Hamas da Gaza, potrò fare loro un’altra pernacchia.. Credevate che io fossi politicamente finito.. E invece rieccomi…”.
    Dunque il premier ebraico è sicuramente non solo determinato, ma anche politicamente interessato a
    raggiungere il succitato obiettivo.. Per cui, nonostante gli ostaggi e dopo aver indotto una parte della popolazione a sfollare Gaza, è probabile che la città sarà attaccata dal mare, dall’aria e da terra..
    E in tal caso, che cosa faranno, o cosa potrebbero fare gli antagonisti, avversari, ecc.
    Poco o nulla ? O, comunque, qualcosa di “accettabile”? Nel senso che “giustifichi” i costi, da una parte e dall’altra, dell’attacco programmato?

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