C’è qualcosa che non funziona fra la realtà e i festeggiamenti al Cremlino e sulla Piazza Rossa, la settimana scorsa. Questi ultimi celebravano una vittoria. La prima, la realtà sul campo di battaglia e nella geopolitica, è l’esatto opposto: una clamorosa sconfitta, valutazioni e supposizioni sbagliate, una montagna di bugie. Infine l’ostilità della gran parte del mondo e il silenzio di paesi amici, ora indispettiti.
Vladimir Putin pensava di vincere in fretta, ora forse non vincerà mai. Voleva tenere l’Occidente lontano e riconquistare l’Ucraina: ora che a causa sua la Finlandia non è più un paese neutrale, ci sono mille nuovi chilometri di confine tra la Russia e l’Alleanza Atlantica. Grazie all’aggressione di Putin, anche l’Ucraina è di fatto integrata nella Nato: ne ha le armi fra le più avanzate, gli istruttori militari, l’intelligence, ne applica le strategie.
Nella sua visione obsoleta del mondo, il presidente credeva di poter ricostruire la sfera d’influenza russa: in altre parole, resuscitare la potenza sovietica. Da questo laboratorio dell’anti-storia ne è uscito un Frankenstein geopolitico, privo di alcuna forza eccetto l’arsenale nucleare.
L’entusiasmo di Putin sulle “quattro nuove regioni russe” è mal riposto. L’obiettivo originale era l’Ucraina, prendere Kijv in pochi giorni; ora gli bastano quattro province nemmeno interamente sotto il controllo russo. Doveva bastare una “operazione speciale”; ora è guerra ed è iniziata la coscrizione obbligatoria: 300mila giovani.
Ma il proclama firmato da Putin non indica una cifra. Potrebbero essere chiamati alle armi un milione di russi che non garantiranno alcuna vittoria. La massa di uomini in divisa non è più importante come ai tempi dell’invasione napoleonica. Oggi servono professionisti e tecnologia: l’esercito russo ha la quantità, non la qualità. Con la fuga dall’arruolamento di centinaia di migliaia di uomini, il regime perde la generazione più preparata e avanzata.
Subito dopo l’invasione dell’Ucraina e ora, con la coscrizione, più di un milione di russi- giovani, istruiti, globalizzati – vivono all’estero, soprattutto in Occidente. Anziché essere reclutati nell’esercito di Putin, saranno gli oppositori del regime. Neanche il fronte interno sarà più certo. Prima della mobilitazione, i sondaggi dicevano che il 75% dei russi erano a favore dell’”operazione speciale” i cui effetti non erano visibili: non essendoci una guerra non c’erano immagini né notizie sulle gravi perdite umane. Ora, a dispetto dei festeggiamenti sulla Piazza Rossa, per i russi non esiste più una barriera fra il conflitto reale e la vita di tutti i giorni. Rischia dunque di finire l’indifferenza popolare sulla quale Putin ha sempre contato.
Il presidente confida ancora sulla battaglia del gas, nella speranza che la crisi economica pieghi gli europei prima che gli ucraini vincano la guerra. Ma i suoi comportamenti, le bugie, i massacri di civili, le minacce nucleari, i referendum e le annessioni forzate alimentano e giustificano il diffuso sentimento anti-russo. E’ difficile intravvedere una trattativa diplomatica che non appaia come una concessione alla sua brutalità.
Alla Russia di Putin rimane un solo simbolo da superpotenza: il più grande arsenale nucleare al mondo. Ha minacciato esplicitamente di usarlo come solo il coreano del Nord Kim Jong-il ha fatto. Di previsioni sbagliate in sconfitte sul campo, pericolosamente non gli resta altro.
Il Sole 24 Ore, 1/10/22