E’ morto Demetrio Volcic. E la cosa che più mi dispiace è che i giovani non abbiano idea di chi fosse Mitia: così avevo l’onore di chiamarlo, Mitia. Posto che ancora esistano dei giovani che s’informano guardando il servizio pubblico, Volcic è stato forse il più bravo, completo ed elegante corrispondente dall’estero della Rai: prima e dopo di lui. Forse solo Maurizio Mengoni al Giornale Radio dal Medio Oriente – caratterialmente all’opposto di Demetrio – aveva lo stesso pregio della sintesi e la completezza informativa dentro quella sintesi di un minuto e poco più: un gigantesco esercizio di giornalismo.
A noi giovani di allora, Mitia raccontava il misterioso mondo a Est della linea della Guerra Fredda che incominciava a Trieste, a Sud, e arrivava a Nord fino a Stettino; a Est dal Muro di Berlino agli Urali e oltre. Anche fino a Vladivostok se i sovietici avessero permesso a un giornalista occidentale di arrivare così tanto lontano nell’Oriente comunista.
Incontrai Mitia per la prima volta a Stoccolma nel 1986, per l’omicidio di Olof Palme. Dopo molti anni passati a Mosca, Demetrio era corrispondente a Bonn. Parlava perfettamente tedesco, russo, serbo-croato. Dell’italiano aveva quell’accento elegante del Levante europeo che sapevo riconoscere perché avevo una madre fiumana.
Dire che lavorammo insieme mi sembra un’affermazione ambiziosa: lui lavorava e io guardavo, cercando di capire come riuscisse a cogliere la notizia e raccontarla. Sempre in quel minuto e poco più. Io avevo 90, 100, a volte 120 righe. Avesse avuto lo stesso spazio, Mitia avrebbe raccontato l’Est europeo dalla Rus’ di Kiev (882 d.C.) ai giorni nostri.
Finito di lavorare e di cenare, in quelle serate di febbraio svedese tornavamo al nostro albergo vicino al Municipio. Venivo da Beirut, il vento per me era ancor più sferzante. Ma non riuscivo a sentirlo perché ascoltavo i racconti di Mitia. La sua era un’involontaria educazione sentimentale per prepararmi all’Est d’Europa. Non potevo sapere che l’anno successivo Indro Montanelli mi avrebbe mandato a vivere Mosca. Men che meno lo poteva imaginare lui. Ma ogni sera mi dava lezione.
Per me fu facile arrivare nella Mosca di Mikhail Sergevic Gorbaciov. Avendo intuito che qualcosa di inaspettato stava per accadere, Montanelli decise di mandare un corrispondente giovane. Fine. La Rai aveva un pezzo da novanta come Demetrio nella soporifera Bonn ma le pastoie e i manuali cencelli che il servizio pubblico aveva già allora e oggi ancor di più, ne impedivano l’arrivo. Perestroika, Glasnost, vertici Reagan-Gorbaciov e Mitia era a Bonn: era come tenere Messi in panchina nel Clàsico con il Real.
Quando la famiglia Volcic tornò finalmente a Mosca, l’aeroporto di Sheremetyevo li accolse da vincitori. Si racconta – ma questo è mito – che ad accoglierli ci fosse Anna Pavlovna (credo di ricordare si chiamasse così), la storica tata dei figli di Mitia. Nonostante gli anni passati in Germania, abbracciatala, si dice che i bambini avessero ripreso a parlare russo come fossero rimasti sempre a Mosca. Non so quanto sia vero, è parte del Mito Slavo di Demetrio Volcic.
Oggi le nuove tecnologie permettono di andare a rivedere anche i telegiornali del secolo scorso. Se vi capita, andate a vedere le sue corrispondenze, il suo stile sempre sobrio e descrittivo. Sono Storia, non solo del giornalismo. Bene: quell’uomo, quel giornalista, quel raccontatore, era Mitia, il mio caro amico.