Per chi continua ad avere una certa considerazione per gli Stati Uniti, è triste leggere i resoconti delle udienze in Campidoglio sull’impeachment a Donald Trump. Ma è ancora più deprimente assistere da qui, a Washington: con le prime pagine cartacee e online piene della spazzatura che ogni giorno esce dalla Casa Bianca; con tutti i network televisivi “live” per ore sui volti dei deputati della Commissione per l’Intelligence incaricata dell’inchiesta, e quelli dei testimoni, molti dei quali intimi di Trump fino a poche ore prima di salire sulla collina del Campidoglio.
Non riesco a capire se è la caduta di un impero o una grande prova di democrazia. Winston Churchill era convinto che gli americani alla fine fanno sempre la cosa giusta, ma solo dopo aver provato tutte quelle sbagliate. E’ tutto così tragicamente spettacolare.
E’ chiarito che Trump e i suoi sodali avevano negato all’Ucraina 391 milioni di dollari in aiuti militari fino a che Volodymir Zelensky, il presidente a Kiev, non avesse aperto un caso di corruzione contro Joe Biden e suo figlio; chiarito anche che non ci sono stati tentativi di corruzione da parte dei Biden ma, al contrario era stato l’allora vice di Barack Obama e ora candidato democratico alla presidenza, a sollecitare gli ucraini ad agire contro la dilagante corruttela in quel paese.
Con tutto questo agli atti, si è aggiunto il surreale tentativo di Trump di vendere la sua verità: non sono stati i russi a interferire nelle elezioni americane del 2016 per far eleggere lui ma gli ucraini per aiutare Hillary Clinton. “Fictional narrative”, l’ha definita Fiona Hill che era alla Casa Bianca come esperta di Russia, durante la sua audizione al Congresso. Una versione, ha ricordato Hill in udienza e sotto giuramento, che per prima è stata propagata dai servizi segreti russi per dividere l’America.
A un dibattito al quale ho partecipato ieri, qui a Washington, il democratico Chris Van Hollen della Commissione del Senato per gli Stanziamenti, non solo ricordava che tutte le agenzie del’Intelligence americana avevano confermato le interferenze russe nelle elezioni del 2016: “hanno già lanciato l’allarme che si ripeteranno anche in quelle del 2020 se non faremo di più per rafforzare la nostra capacità di dissuasione”.
La Costituzione non è un libro di lettura ma il compasso di una nazione. Se qualcuno la viola, commette un reato. E’ dunque drammatico vedere la reazione del partito repubblicano. La forza politica che fu di Abramo Lincoln, Dwight Eisenhower, Ronald Reagan e George Bush (il padre) si è trasformata in un partito di estremisti sicofanti. Devin Nunes il deputato alla guida del manipolo di repubblicani nella Commissione per l’Intelligence, si rivolge agli interrogati fossero i colpevoli. Jim Jordan, altro repubblicano della commissione, accusa il partito democratico di “voler distruggere l’America” perché la leader Nancy Pelosi ha detto che Trump è un impostore. Jordan è come il turco Erdogan o l’egiziano al-Sisi che danno del terrorista ai loro oppositori. Qualche tempo fa gli fu chiesto se Trump avesse mai detto una bugia. “No”, aveva risposto. O Lou Dobbs che dalla CNN elogiava le porcherie di Wall Street che avrebbero portato alla crisi economica del 2007: ora su Fox sostiene che “Trump è uno dei più grandi presidenti di questo paese”, illumina la Casa Banca come luce del sole.
Leccapiedi probabilmente si nasce ma si può anche diventare. Quando fu la volta di Richard Nixon e del Watergate, nel 1974, i repubblicani non votarono per l’impeachment ma si astennero. Ora invece fanno quadrato attorno a Trump come fossero al “last stand” del generale Custer alla battaglia di Little Bighorn. Per quante prove e confessioni i democratici tirino fuori, i repubblicani voteranno contro. E per quanto evidente sia l’uso elettorale dell’interesse nazionale da parte del presidente, non ci sarà impeachment perché i democratici hanno la maggioranza alla Camera ma non in Senato.
I sondaggi dicono che gli americani non sono così interessati alla questione impeachment. Nancy Pelosi lo aveva capito e si era opposta ad avviare il processo. Lo ha fatto solo quando è scoppiato il caso ucraino. Ora è tempo che deputati e senatori tornino nei loro collegi a iniziare la campagna elettorale per il 2020: a offrire, insieme alle prove sull’immoralità di Trump, soluzioni per l’economia, il lavoro, la sanità.
“Pity the Nation”, scrisse Khalil Gibran, il grande poeta libanese diventato americano alla fine del XIX secolo. “Pietà per la nazione che acclama il bullo come eroe…Pietà per la nazione il cui governante è una volpe, il filosofo un giocoliere e la cui arte è l’arte del rattoppo e della parodia”.
P.s. – Mentre a Washington si susseguono le udienze sull’impeachment, a Gerusalemme Bibi Netanyahu viene incriminato per corruzione. Le due vicende sono speculari: per le idee estreme dei protagonisti, per l’intrinseca immoralità dei loro comportamenti pubblici, per la comune capacità di trasformare le prove contro di loro in teorie cospirative, e le loro teorie cospirative in verità. Nei loro scenari politici Trump e Bibi hanno drammaticamente abbassato la qualità della democrazia.
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