Sembra – ma non è certo – che stia per finire la lunga stagione di potere di Bibi Netanyahu. Ai giovani leoni socialisti degli anni Sessanta fu molto più facile liberarsi del monumento David Ben Gurion di quanto non sia per la destra israeliana disfarsi oggi di Bibi: a suo modo un genio della politica e dei suoi inganni.
A chi si occupasse delle vicende israeliane saltuariamente o solo ideologicamente (qualsiasi cosa faccia, io sto con Israele; qualsiasi cosa faccia, io sono contro), deve essere chiaro che non stiamo parlando di destra che perde e sinistra che vince. “Saremo una destra più gentile”, dicevano durante la campagna elettorale gli oratori di Kahol Lavan, il partito dell’ex generale Benny Ganz, l’apparente vincitore ai voti e che ora dovrebbe guidare la schermaglia politica per formare un governo.
La sinistra come la intendiamo noi – e come la intendono gli israeliani – è ormai poca cosa: un pugno d’intellettuali, di coraggiosi pacifisti e di reduci delle glorie del Labour.
Ganz lo chiamano Benny, Netanyahu è Bibi ma il nome di entrambi è Binyamin. Su sicurezza nazionale e stato palestinese i due non la pensano molto diversamente. Qualche differenza forse c’è nel primo a favore di un’economia più attenta al sociale. Ma non molta. Anche la fondamentale battaglia in difesa della laicità dello stato contro la lenta ma metodica trasformazione d’Israele in teocrazia, l’ha combattuta un uomo di destra assoluta come Avigdor Lieberman.
Ma la pace con i palestinesi, se mai si cercherà di nuovo, non è di destra né di sinistra. Se per destra intendiamo quella “più gentile” di cui parla Ganz: quella che non urla, che non si affida agli slogan e alle balle del sovranismo; quella che con sano scetticismo pensa sia necessario provare di nuovo a raggiungere una pace col vicino palestinese. Vi credevano poco gli uomini e le donne che hanno avuto il coraggio di percorrere quella strada: Moshe Dayan, Yitzhak Rabin, Ehud Barak; prima di diventarne un convinto sostenitore, Shimon Peres è stato il più gande costruttore di colonie ebraiche nei territori occupati. Ci credevano personalità di destra come Ehud Olmert e Tzipi Livni il cui padre era stato un terrorista dell’Irgun.
Ma non sarà facile sradicare i mutamenti che un ininterrotto decennio di Bibi ha prodotto in Israele, in questo aiutato dalla maggioranza degli israeliani. Ne ha scritto pochi giorni prima del voto sul Washington Post, il saggista, storico e politologo Robert Kagan
https://www.washingtonpost.com/opinions/2019/09/12/liberal-world-order-helped-israel-flourish-now-state-is-pushing-back/. “Per gran parte della loro esistenza gli israeliani hanno lottato per integrare il loro paese nell’ordine economico, politico e strategico liberale, convinti che più di ogni altra cosa questi valori condivisi avrebbero protetto Israele dai suoi nemici. Il fatto che molti israeliani, compresi i loro leader, sembra abbandonino questo approccio pluridecennale, dice qualcosa dell’attuale condizione della politica e della società d’Israele”.
I capi di governo stranieri che Netanyahu è andato a cercare durante due campagne elettorali in cinque mesi, convinto che gli avrebbero portato i voti degli israeliani, sono: Vladimir Putin, Jair Bolsonaro, Narendra Modi, Victor Orbàn, Rodrigo Duterte. E Donald Trump che in qualche modo è una conferma di quell’orizzonte politico. Se la geopolitica lo avesse permesso, Bibi non avrebbe esitato a incontrare il principe Mohammed Bin Salman a Riyad (Netanyahu gli mandò comprensione quando il giornalista Jamal Khashoggi fu fatto a pezzi dai suoi sicari).
L’episodio forse peggiore fu il viaggio in Polonia. Il governo di Varsavia aveva imposto una legge che prevede il carcere per chiunque dica che quel paese aveva avuto un ruolo nell’Olocausto. Nonostante le proteste degli scienziati di Yad Vashem, il museo della Shoa, Bibi andò laggiù a controfirmare l’innocenza storica dei polacchi, il popolo che fu il più antisemita di un continente un tempo antisemita.
Intanto l’altra Europa, quella migliore, veniva accusata di antisemitismo. “Meno l’Europa è unita, meglio è”, sosteneva Michael Oren, storico ed ex ambasciatore israeliano a Washington. La convinzione è condivisa dalla maggioranza degli israeliani. La UE è forse l’unica entità internazionale che continua a sostenere (agendo poco) il diritto palestinese all’indipendenza nazionale, ogni volta ricordando anche i diritti d’Israele; il suo boicottaggio facoltativo solo ai beni israeliani prodotti nei territori occupati e solo a certe condizioni, non è un boicottaggio.
Ma per gli israeliani, sotto il decennale martellamento di bitakhon, la sicurezza, il mantra di Bibi, noi siamo sostanzialmente degli antisemiti. Anche se non c’è un solo paese della UE che nel suo ordinamento abbia leggi antisemite. Gli unici a mostrare evidenti segni di razzismo anti-ebraico sono i leader di Polonia e Ungheria, amici intimi di Bibi Netanyahu.
Se oggi la maggioranza degli israeliani vota a destra e la sinistra è come un animale in via di estinzione, è legittimo oltre che comprensibile: i palestinesi hanno dato il loro contributo e la geopolitica alle frontiere non aiuta a favorire visioni pacifiste. Ma se sarà Benny Ganz a guidare il nuovo governo, è evidente quanto Israele abbia bisogno di una destra “più gentile”.
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Allego il necrologio di Ben Ali, pubblicato sul sito del Sole 24 Ore