“La religione non è un esame di nazionalità ma una questione personale fra l’uomo Dio”
Mohandas K. Gandhi
Secondo il Pew Research Center di Washington, quanto a limitazione delle libertà religiose, Israele è uno dei paesi più restrittivi del mondo: è fra i 20 peggiori, in compagnia di Arabia Saudita, Siria e Iran. Ha il quinto livello più alto di “ostilità sociali legate alle norme religiose” e il sesto più alto di “tensione e violenza interreligiosa”: peggio della Siria.
Se andate a Tel Aviv e leggete la stampa del paese, stenterete a crederci. Ma se salite a Gerusalemme dove potreste sentire Bezalel Smotrich dire ”Vogliamo il ministero della Giustizia perché vogliamo ritornare alla legge della Torah”, qualche dubbio vi verrà. Smotrich, un ultra-religioso razzista che sostiene la segregazione degli arabi (il 20% della popolazione) negli ospedali e il diritto di sparare per uccidere i bambini palestinesi che lanciano pietre, voleva entrare da protagonista nel nuovo governo Netanyahu.
Ma Israele, formalmente dichiaratosi “Paese degli ebrei”, non è il solo ad essere vittima di un’involuzione politico-religiosa. Rilevando questo cambiamento in peggio, Pew sottolinea anche che in Europa è sempre più difficile per gli ebrei praticare la loro religione. Attività antisemite e neo-naziste si moltiplicano nel vecchio continente e negli Stati Uniti.
Se nello stato ebraico chi non è ebreo conta dichiaratamente di meno, a Mosca la visione di Vladimir Putin è quella di una Madre Russia santa e rigidamente ortodossa. I migliori alleati della visione putiniana non molto dissimile da quella zarista pre-rivoluzionaria, sono la Chiesa e i militari. Ma la prima è la guida morale, spesso anche politica, dei secondi.
Dmitry Adamsky che insegna diplomazia e strategia a Hezliya, a Nord di Tel Aviv, ha scritto un saggio per spiegare “lo straordinario intreccio fra chiesa e militari nella comunità delle armi nucleari, dove il clero è penetrato a ogni livello di comando e la Chiesa si è affermata come guardiano del potenziale nucleare statale” (“Russian Nuclear Orthodoxy – Religion, Politics and Strategy”, Stanford University Press, 2019).
Il problema non è solo russo. Negli anni Novanta, quando indiani e pakistani perfezionarono le loro testate nucleari, si parò di una “Bomba hindu” e una “Bomba islamica”. Lo scienziato che fece quella hindu era in realtà musulmano, ma la suggestione dell’ordigno motivato dalla fede, rimase. Oggi che il Pakistan è sempre più condizionato dai movimenti estremisti religiosi e l’India è governata da un leader e un partito con una chiara agenda hindu, la necessità di negoziare regole sulla riduzione e il controllo di quegli arsenali, è più impellente ma più difficile.
Ovunque nel mondo il sovranismo montante sente il bisogno della legittimità di una fede nazionale. Recep Erdogan è convinto che senza l’Islam la sua visione neo-ottomana della Turchia sarebbe imperfetta. In tutto il Medio Oriente musulmano la geopolitica, le alleanze e le ostilità continuano ad essere definite soprattutto dall’essere sciiti o sunniti, oppure sunniti ortodossi contro sunniti “rivoluzionari” della Fratellanza musulmana.
I simboli della fede pervadono anche l’estetica e l’etica di ogni sovranismo europeo. Perfino Matteo Salvini nel cui c.v. personale e politico non esistono tracce di una fede da crociato, sul palco di Piazza del Duomo a Milano accanto ai suoi sodali europei, ha sentito il bisogno di esibire un rosario e di baciarne la croce.
Deus vult! Mille anni dopo Urbano II, il quale chiamò a raccolta gli europei per liberare la Terra Santa, perché quello era il volere del cielo. E’ bello che oggi sia un papa a diffidare i cristiani del XXI secolo dal fare un uso politico dei simboli della fede e a rispettare quelli degli altri.