Tutto si può dire di Donald Trump 45 ma non che manchi di coerenza. Il candidato che per mesi non aveva mai smesso di stupire sparandole grosse, le più grosse possibili e oltre l’immaginabile, è sempre lo stesso: anche da presidente degli Stati Uniti. Almeno in questi primi giorni di amministrazione.
A molti sarà venuto in mente Lenin a San Pietroburgo nell’Ottobre ’17, ascoltando il passaggio del discorso inaugurale dove Trump ha gridato che avrebbe trasferito “il potere da Washington D.C. a voi, il popolo”. E’ per questo che Gary Cohen, presidente di Goldman Sachs, è stato messo alla guida del National Economic Council che definisce le politiche della Casa Bianca in materia; e per lo stesso motivo, per togliere ai ricchi e dare ai poveri, è stato nominato segretario al Tesoro Steven Mnuchin, per molto tempo partner della multinazionale della finanza che ha fatto miliardi di miliardi grazie alla globalizzazione tanto detestata da Trump. Del resto, quale organizzazione al mondo rappresenta gli interessi e le speranze del proletariato meglio di Goldman Sachs?
Ma quello che più mi stupisce è la produzione industriale di balle in una sola settimana di presidenza. Fra le tante quella che Trump ha ripetuto martedì ai rappresentanti del Congresso: se alle elezioni aveva perso il voto popolare (Hillary aveva preso tre milioni di preferenze in più), era stato per colpa degli immigrati clandestini. Quindi è giusto deportarli.
L’altro giorno Sean Spicer, il nuovo portavoce della Casa Bianca, nella sua prima apparizione in sala stampa era partito in quarta contro i giornalisti, sostenendo che la cerimonia d’inaugurazione aveva avuto “la più grande partecipazione di pubblico mai vista prima”. A questo aveva aggiunto una serie di cifre palesemente false dai biglietti venduti quel giorno dalla metropolitana di Washington a molto altro.
Spicer non poteva non sapere che sarebbe stato smentito da un qualsiasi cronista locale, dati alla mano. Perché lo ha fatto? La spiegazione l’ha offerta il giorno dopo Kellyanne Conway, consigliera speciale di Trump: “Fatti alternativi”. Un’enunciazione filosofica, più che una semplice spiegazione. D’ora in poi le balle dell’amministrazione Trump saranno ufficialmente chiamate contro-informazione.
Ha detto Robert More, corrispondente di ITN a Washington: “Se il portavoce della Casa Bianca dice cose che sappiamo essere provatamente false, perché dovremmo credergli sulla Corea del Nord, la Russia, l’Iran o la guerra all’Isis?”. Aggiunge Gideon Rachman sul Financial Times: “Questa non è solo una buona domanda. E’ una domanda vitale”.
Le bugie sono le sorelle del potere. Nel 1964 Lyndon Johnson aveva inventato l’incidente nel golfo del Tonchino per iniziare l’escalation militare contro il Nord Vietnam; Richard Nixon spiava gli avversari. Ma, scoperti, il primo rinunciò a un secondo mandato e il secondo dovette dimettersi. Qui oggi abbiamo un bugiardo compulsivo che ha sprecato mezza mattinata del suo primo giorno nello studio ovale per cercare e intimare a Michael T. Reynolds, direttore del National Park Service, di trovare le foto che confermassero la (inesistente) folla oceanica alla cerimonia del giorno prima sul Mall di Washington (che è un parco nazionale).
Più passano i giorni e più Trump ne inventa una per umiliare e isolare gli Stati Uniti, più mi convinco della genialità di Vladimir Putin. La sua operazione segreta (non poi così tanto segreta) è stata magnifica. Con la propaganda, la disinformazione e senza sparare un colpo, Putin ha spinto gli americani a portare un suo agente alla Casa Bianca. Non faccio dell’ironia né mi scandalizzo. Queste cose accadono. Gli americani sono stati così sciocchi da farsi scoprire a spiare Angela Merkel e Silvio Berlusconi. I russi hanno solo fatto, e molto bene, il loro mestiere e i loro interessi.
Naturalmente Trump 45 (il quarantacinquesimo presidente) non sa di essere un agente russo. Ma i danni che farà all’America, la destabilizzazione e l’isolamento che per quattro anni garantirà al sistema della prima superpotenza, non sarebbe capace di causarli il migliore degli agenti dell’Fsb. Accompagnando l’inconsapevole Trump alla presidenza, Putin ha ribaltato gli equilibri di potenza dei tempi di Clinton e di Eltsin, quando la Russia era una specie di Far West allo sbando, quotidianamente umiliato dall’Occidente vincitore della Guerra fredda. Questa volta l’ubriaco è alla Casa Bianca.
Allego l’articolo sul primo anniversario della scomparsa di Giulio Regeni, uscito il 25 gennaio sul Sole 24 Ore.
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