Robert Service che insegna storia russa a Oxford e Stanford, ha appena pubblicato un accurato libro: ”The End of the Cold War – 1985-1991”, Macmillan. La lettura mi ha appassionato anche per un’altra ragione: è il primo saggio rigorosamente storico nel quale si descrivono avvenimenti che ho seguito con i miei occhi. Sono stato corrispondente a Mosca del Giornale di Indro Montanelli, dal 1987 al ’91, seguendo la perestroika in Russia e i vertici internazionali di quell’epoca. Fra il senso di eccitazione dell’ “io c’ero” e quello del tempo che passa – sono irrimediabilmente un gorbaciosauro – ha comunque prevalso il primo.
Cito il libro perché Service racconta di quando, in piena trattativa sulla riduzione delle armi nucleari strategiche, Mikhail Sergheyevich decise d’interrompere l’attività di desinformazia verso l’Occidente. Gorbaciov lo disse al Politburo nel marzo 1988, suscitando le proteste del vecchio Andrej Gromyko che sarebbe morto l’anno successivo. Non aveva senso continuare a delegittimare i partner americani ed europei, ora che l’atmosfera era cambiata. La desinformazia cessò, anche se alcuni organi dello stato la continuarono.
Oggi Serghey Lavrov, il suo ministro degli Esteri, è un negoziatore di alto livello e persegue con serietà una diplomazia russa rinata e stimata. Ma la campagna di disinformazione di Vladimir Putin è più forte che pria: Breznev, in confronto, era un dilettante. Il grande festival della stampa putiniana era stato organizzato a Mosca, lo scorso giugno: al World Congress of Russian Press avevano partecipato 500 testate di giornali, siti e televisioni di 60 paesi. Chi per convinzione, chi per denaro, tutti pronti a sposare la causa russa, a diffondere il verbo e ad andare oltre.
Come scrive sul Washington Post Anne Applebaum, per la stampa russa e filo-russa, “niente si limita ad accadere. Ogni evento è sempre parte di una storia più grande. La Russia o piuttosto un complotto per distruggere o minare la Russia, è sempre al centro”. Nelle storie “ci sono sempre elementi di verità, ma distorta da una realtà virtuale”.
E’ per mostrare la potenza di questo martellamento quotidiano che l’Eeas, gli Affari esterni, cioè il ministero degli Esteri della Ue a Bruxelles, ha creato uno Strategic Communication Office di contro-propaganda. C’è un sito, stratcom-east@eeas.europa.eu e un tweet, EU Mythbuster, @EUvsDisinfo, che settimanalmente pubblicano una Disinformation Review con le balle più divertenti (e pericolose). Le raccoglie un network di 450 fra giornalisti, organizzazioni della società civile e accademici di 30 paesi. La Eeas si limita a verificare e pubblicare: non commenta.
E come potreste commentare la rivelazione che Genghis Khan non era mongolo ma russo? Ne sono convinti i siti di Slava.su e di Inaya Realnost, “una realtà differente”. Che secondo un sito bulgaro la maggioranza dei francesi vorrebbe essere governata da Putin? E che il figlio di Erdogan è pappa e ciccia con i capi dell’Isis? Per provarlo, Life News pubblica la foto: anche se quelli in posa col giovane Erdogan non sono i califfi ma i titolari del ristorante Cigeris di Istanbul.
La Komsomolskaya Pravda, un tempo il giornale della gioventù comunista, scrive che Obama ha dato a Erdogan padre l’ordine di abbattere il bombardiere russo in Siria. La Rossiiskaya Gazeta è più dettagliata: gli Stati Uniti, la Ue, la Cia, i turchi e i turcomanni attaccano le truppe russe in Siria e le operazioni sono tenute sotto controllo dagli ufo. Il professor Igor Druz dell’Istituto di studi strategici finanziato dalla presidenza russa, sostiene che nella Ue i cristiani sono perseguitati; e Petr Tolstoy, l’ancor della popolare trasmissione Vremya pokazhet, che l’Ucraina non è uno stato sovrano.
Sono solo alcuni dei mille estratti esilaranti della desinformazia. Tutto questo può accadere nel paese numero 152 dei 180 del World Press Freedom Index che ogni anno compila Reporters Without Borders. La lettura settimanale di Stratcom-east è spassosa. Ma avendo vissuto a Mosca per quattro dei miei più esaltanti anni, non riesco a divertirmi. Continuo ad amare quel paese, a pensare alla sua storia, alla sua cultura, alle persone che ho conosciuto. E soffro, constatando che la Russia piena di vitalità e di senso tragico, sta perdendo un altro ventennio del suo lungo cammino per diventare un paese normale, oltre che grande.
Era da un po’ di tempo che non postavo su Slow News. Più delle feste, in queste settimane mi hanno impegnato, sulle pagine del giornale, le crisi internazionali. Allego alcuni dei commenti usciti recentemente sul Sole.
L’economia egiziana paralizzata dall’Isis, 6/1/2016
Golfo e Corea, un anno da vivere pericolosamente, 7/1/2016
https://www.facebook.com/ugo.tramballi.1/posts/772137849556940
Iran versus Arabia Saudita, la grande guerra mediorientale, 5/1/2016
https://www.facebook.com/ugo.tramballi.1/posts/771247212979337
America e Russia nel 2016
https://www.facebook.com/ugo.tramballi.1/posts/768304529940272