Non avendo trovato spazio sulle pagine del Sole e lasciato passare il tempo necessario – caso mai lo spazio venisse trovato – pubblico sul mio blog la conversazione avuta qualche settimana fa a Washington con John Brennan, il direttore della Cia.
WASHINGTON. “E’ chiaro che l’Isis ha un’agenda internazionale”. L’attacco di Parigi è stato “un piano organizzato con armi, operativi sul campo, capacità. Posso assicurare che non è stata la sola operazione che hanno in programma. E non solo in Europa”. John Brennan non usa preamboli né cerca di rendere la realtà meno preoccupante di quanto sia: “Viviamo in un modo davvero molto pericoloso” del quale il califfato è il prodotto più malato ma non l’unico.
Il direttore della Cia non si presenta spesso in pubblico. Anche perché quella che John Brennan ha avuto da Barack Obama più di due anni e mezzo fa, non è una nomina per meriti politici ma il premio a una carriera nell’Agenzia. Brennan è un “uomo di Langley”: prima di arrivare al vertice della Cia vi ha lavorato per 25 anni, trascorrendone alcuni come capo operativo in Medio Oriente.
Gli attentati a Parigi, a Beirut, l’aereo russo esploso nel Sinai, dimostrano che l’Isis “sta guardando sempre di più all’estero”, dice in una conversazione al Csis, il centro di studi strategici di Washington. L’incontro è avvenuto nell’ambito del Global Security Forum sponsorizzato da Finmeccanica. In qualche modo la reazione militare alle conquiste dell’Isis c’è stata e i bombardamenti sono serviti a qualcosa. “Sanno di non poter conquistare altro territorio fra Siria e Iraq”, spiega Brennan. Quindi puntano all’Europa per creare terrore e proseliti: “La loro agenda è semplice: uccidere quanta gente possibile”.
Forse lavorare assieme ai vecchi nemici russi sarebbe d’aiuto, ora che con l’Isis hanno gli stessi problemi. “Avevamo già lavorato molto insieme per garantire la sicurezza dei giochi olimpici di Sochi”, rivela Brennan. Anche adesso “sono molte le conversazioni che ho con la mia controparte russa, soprattutto da quando sono intervenuti in Siria. Laggiù hanno fra i due e i tremila foreing fighters russi e molti ceceni sono fra i comandanti più esperti dell’Isis”. Il problema russo, dunque, non è meno grave di quello europeo: con Mosca “abbiamo scambi d’informazioni e siamo determinati a continuare ad averli”.
Eppure, anche per i precedenti di queste settimane, forse non era così impossibile prevenire gli attacchi di Parigi. Cosa non ha funzionato? “Non è sorprendente che sia accaduto”, risponde Brennan. “Sapevamo che l’Europa era un obiettivo. C’è stata in questi anni una notevole crescita della collaborazione” fra i servizi segreti. “Ma è un lavoro eccezionalmente difficile quando c’è un numero così grande di persone che vanno e vengono dalla Siria e dall’Iraq”.
Perfino nascosti fra i profughi. Ma per il capo della Cia se gli europei modificassero gli accordi di Schengen e chiudessero le frontiere, commetterebbero un errore. “Non vogliamo che i terroristi intacchino le libertà civili europee e americane. Chiudere le frontiere non è sostenibile socialmente, culturalmente, economicamente e politicamente. E per l’Isis sarebbe un successo”.
Il mondo di oggi nel quale il lavoro di garantire una “sicurezza globale non ha precedenti per la sua complessità”, è pieno di sfide. Le frontiere e gli stati usciti dalla Guerra fredda sono sotto stress, secondo John Brennan. Anche nell’Europa più stabile “a causa dell’immigrazione c’è un crescente successo di partiti di estrema destra e sinistra”. Più a Est c’è l’ansietà dei paesi ai confini con la Russia e nel Mar cinese quella dei paesi attorno a Pechino. Nel mondo arabo le cosi dette primavere non hanno portato democrazia ma una disillusione sfruttata ed enfatizzata dai social media. Alla crisi finanziaria globale del 2008 sta seguendo quella della crescita economica cinese. E “l’aumento della paura per una crisi economica aiuta il disordine”. Come le condizioni sempre più estreme del clima fanno crescere l’ansia e le crisi umanitarie.
Ma il pericolo al quale John Brennan da’ più enfasi è quello della “rivoluzione cibernetica che offre a piccolo gruppi la capacità di danneggiare interi sistemi nazionali”, diventando “una nuova arma per terroristi e criminali. Il campo dei potenziali obiettivi è enorme: trasporti, economia, banche, commercio”. Affrontare il problema imposto dalla sicurezza collettiva implica tuttavia un confronto, più spesso uno scontro con altri valori: a partire dalle libertà individuali e collettive. Brennan ricorda che l’85% del World Wide Web non appartiene ai governi. Occorre dunque “una collaborazione con il settore privato”. Ma “creare un’architettura nella quale prendere e muovere informazioni, è molto difficile”, ammette. “Gli Stati Uniti sono in grande paese, l’Europa un grande continente: non avremo mai abbastanza risorse” per garantire sicurezza e contemporaneamente libertà, “senza la collaborazione del settore privato e dei singoli cittadini”.
Allego gli ultimi due commenti usciti in questi giorni sul Sole 24 Ore
Una Yalta per il Mediterraneo
11/12/2015
di Ugo Tramballi
Guardare oltre. Non è facile, è un esercizio complesso immaginare oggi un futuro per l’altra sponda del Mediterraneo. Pensare a quali scelte politiche, quali opportunità economiche, perfino quali confini dovrà avere la regione più caotica del mondo, quando la follia si fermerà. Perché questo prima o poi accadrà, per quanto ora possa sembrare inimmaginabile.
Ma il processo è incominciato, anche se l’Isis continua a controllare il suo territorio fra Iraq e Siria, si espande nella sua enclave libica. E intanto diventa sempre più minaccioso il fronte “esterno”, fatto di cani sciolti e terroristi dormienti nelle nostre metropoli. Ma pur con molta fatica, interessi contrastanti e a volte ancora reconditi, la diplomazia lavora sempre più intensamente in cerca di vie d’uscita.
Da ieri è Roma il centro del confronto. Prima con i Dialoghi mediterranei, organizzati dal ministero degli Esteri e dall’Ispi, l’Istituto di studi per la politica internazionale di Milano: “Oltre il caos, un’agenda positiva”, è il titolo ambizioso. E poi, domenica, alla Farnesina per un vertice dedicato alla Libia, al quale partecipano tutti i ministri degli Esteri interessati: Usa, Russia, europei e arabi.
Quello che serve al Medio Oriente è una Yalta, per cercare similitudini storiche suggestive ma non così impossibili. Nella Yalta originale americani e russi non erano d’accordo su nulla se non nell’arrivare fino a Berlino e sconfiggere il nazismo. In un certo senso i russi e gli americani di oggi non sono diversi, anche se le ideologie sono scomparse. Come a Berlino 70 anni fa, il governo che vorrebbero vedere a Damasco non è lo stesso. Hanno idee differenti su come dovrà essere il futuro Medio Oriente nel suo insieme. Ma sono entrambi d’accordo che non sia ormai possibile un nuovo assetto senza prima sconfiggere l’Isis e sradicare – almeno territorialmente – la sua presenza.
Era questo che il segretario della Difesa Ashton Carter diceva due giorni fa alla commissione Difesa del Campidoglio. I bombardamenti aerei sono efficaci fino a un certo punto: impediscono allo stato islamico di organizzare offensive su larga scala e conquistare nuovi territori. Ma nel frattempo si radica sempre di più nei territori che controlla. Solo un’offensiva militare terrestre può raggiungere l’obiettivo finale. Ma se lo facessero gli occidentali, sarebbe solo “un’altra guerra americana”. Una partecipazione russa non cambierebbe la percezione degli arabi, dei turchi, degli iraniani. Perché nell’ipotetica Yalta mediorientale, loro non possono essere che protagonisti di pari livello. Russi, americani, europei, eventualmente i cinesi i cui interessi regionali sono sempre meno solamente energetico-economici e sempre più economico-politici, sono partners, facilitatori.
E’ stato duro l’ammonimento del vice cancelliere tedesco all’Arabia Saudita. Senza temere di mettere a rischio i cospicui affari che la Germania fa con Riyadh, Sigmar Gabriel ha esortato i sauditi s smettere di finanziare e armare i movimenti estremisti religiosi della regione, e invece partecipino con trasparenza alla lotta contro l’Isis. Un’ambiguità dalla quale si devono liberare qatarini, turchi, iraniani. Perché spetta ai protagonisti della regione sconfiggere militarmente l’Isis e, su questa vittoria, costruire finalmente un sistema mediorientale di sicurezza collettiva.
Sconfiggere militarmente l’Isis è un evidente “interesse strategico” comune, come ha detto ieri Matteo Renzi al Dialogo mediterraneo. E’ una ragione più che sufficiente per formare una vera alleanza. Il resto, la politica e la diplomazia, verrà immediatamente dopo.