Allego l’intervista a Naguib Sawiris uscita la settimana scorsa sul Sole-24 Ore.
Ugo Tramballi
IL CAIRO. Dal nostro inviato. La Roma, la sua vecchia passione, corre per lo scudetto. Le dispiace non averla comprata? La risposta di Naguib Sawiris è più che immediata, fulminea. “La banca non è stata corretta con noi: ne avevamo negoziato l’acquisto e fatta l’offerta, poi ci ha detto che bisognava fare una gara. Non potevamo partecipare, avevamo già reso nota la nostra offerta. Ci siamo ritirati e hanno venduto agli americani a un prezzo tre volte più basso del nostro. No, non è stato un processo trasparente”.
Questo non impedisce a Naguib Sawiris – 61anni, presidente di Orascom e di molto altro in Egitto e nel mondo, guida laica della minoranza copta cristiana – di essere uno dei pochi che continuano ad amare Roma. “Divento automaticamente felice appena atterro a Fiumicino”, dice a dispetto del comune sentire. Certo, Roma appare come un’isola di stabilità se si vive al Cairo, capitale di un paese minacciato dai terroristi e circondato dalla regione più pericolosa della Terra, sulla quale Sawiris ha idee forti, piuttosto putiniane.
Persa la squadra di calcio, il creatore di Wind Mobile (“ne ho raddoppiato il valore in tre anni!”) non ha mai smesso di venire in Italia e investire. Parteciperà a dicembre a una grande conferenza sul Mediterraneo organizzata dalla Farnesina e dall’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. E oggi sarà a Milano per lanciare il data center di Supersnap, un investimento da 300 milioni di euro. “Darà da lavorare a molte persone. Dopo Libero, Virgilio, Dada SpA e Seat Pagine Gialle, è il quinto: la mia esposizione in Italia ora è d’un miliardo di euro”.
Signor Sawiris, si dice che lei abbia una liquidità da due miliardi di dollari da spendere in tlc. E’ ancora interessato a Wind-3? I norvegesi vendono.
No, per la stessa ragione che ha spinto i norvegesi a vendere: hanno una quota di minoranza, non possono determinare niente.
E su Telecom Italia? Game over?
Volevamo fare le stesse cose che ha cercato di fare Bolloré. Ed è stato sostituito. Non eravamo i benvenuti nel board e nel management: l’Italia non è facile quando tratti assets nei quali c’è un interesse del governo. E comunque ho incominciato a perdere interesse per le tlc: il valore che poteva produrre è stato creato, non c’è più spazio per crescere. Sono ormai interessato a settori diversi.
Ci sarà un sesto business in Italia?
Se conosce un’opportunità me lo faccia sapere. Sono un investitore sentimentale: metto il denaro dove mi piacciono il posto e la gente. Non è razionale ma sono sempre stato trattato bene, da Prodi come da Berlusconi.
L’amico del mio amico, è mio amico. Matteo Renzi e Abdel Fattah al Sisi sono grandi amici. Perché, secondo lei? Lei li conosce entrambi.
Pr gli standard mediorientali anche al Sisi è giovane (avrà 60 anni il mese prossimo, n.d.r.). Condividono la convinzione che combattere il terrorismo sia molto importante. Renzi è stato il primo leader europeo a venire al Cairo quando il paese era in difficoltà.
Anche lei è un sostenitore del presidente. Al Sisi è il futuro dell’Egitto?
Non abbiamo scelta. E’ stato eletto con il 97%, in elezioni trasparenti. Per molti è il salvatore dall’oscurantismo dei fanatici che avevano preso il potere nel nostro Paese. Obietterà che anche i Fratelli musulmani avevano vinto le elezioni precedenti, ma con meno del 40%. Nel 1933 anche Hitler aveva vinto elezioni democratiche.
La convince il programma economico del governo fondato soprattutto sulle opere infrastrutturali? Il canale, i porti, ora anche una nuova capitale amministrativa sulla costa mediterranea.
No, per tre ragioni. La burocrazia. Anche in Italia i tempi di approvazione di un progetto sono lenti, ma poi lo realizzi. In Egitto aspetti per niente. Secondo, l’energia: non ne produciamo abbastanza. Terzo, l’impossibilità di trasferire gli investimenti, il rimpatrio dei dividendi. Questo blocca gli investimenti interni e internazionali.
Aveva detto che appena al Sisi fosse diventato presidente, lei avrebbe investito in Egitto un altro miliardo di dollari. Lo ha fatto?
Sono riuscito a spendere solo 100 milioni.
Secondo Forbes, nel 2014 i cinque uomini più ricchi d’Egitto appartenevano a due famiglie: i Sawiris e i Mansour. Insieme fate il 6,25% del Pil egiziano. Non è troppo?
E’ troppo poco. Noi non facciamo i soldi solo in Egitto, siamo giocatori globali in telefonia, cemento, fertilizzanti, costruzioni. Solo il 10% della ricchezza della mia famiglia è investito qui.
Il punto è che le riforme egiziane fanno troppo poco per la piccola e media impresa.
E’ vero, non c’è attenzione: niente programmi né finanziamenti. Cambiare è uno dei punti del programma di Egiziani liberi, il nostro partito.
Questo mese ci saranno finalmente le elezioni parlamentari. Lei ha creato un partito ma non si candida come il suo vecchio amico Berlusconi.
Se lo fai, la gente crede che tu voglia qualcosa per te. Se sei ricco, potente, controlli una buona parte dei media e appartieni a una minoranza religiosa, hai già tutti gli ingredienti per essere detestato. Il mio partito è liberale e laico. Per colpa dei salafiti, qui laico è sinonimo di ateo.
Lei sostiene anche di essere per il libero mercato. Ma i militari che hanno più potere di chiunque altro in Egitto, per storia e tradizione sono nasseriani, preferiscono l’economia di stato.
Storicamente ha ragione: un po’ sono ancora socialisti, ma sono cambiati. Da qualche anno partecipano anche loro al grande business.
Il governo dice di essere l’erede della rivoluzione di piazza Tahrir. In realtà sembra una grande restaurazione.
E’ vero. I giovani sono disperati.
Allora perché sostiene al Sisi?
Perché non c’è nessun altro che possa fare le cose e standogli vicini abbiamo l’opportunità di consigliarlo. Non possiamo permetterci un’altra rivoluzione, ci spareremmo sui piedi.
Ha paura di quello che sta accadendo attorno all’Egitto?
Ho paura perché l’Egitto non assume un ruolo militarmente più attivo in Libia che rischia di diventare una base dell’Isis contro di noi. Sono preoccupato perché dovremmo appoggiare i sauditi e gli Emirati nella guerra in Yemen. Occupando Yemen, Irak, Siria e Libano, gli iraniani stanno circondando il Medio Oriente. L’unico paese rimasto è l’Egitto. L’israeliano Netanyahu non è il mio politico favorito ma ha ragione a non fidarsi dell’Iran. Per questo dobbiamo rafforzare la nostra alleanza con l’Arabia Saudita e gli Emirati.