Nessuno torna facilmente su una speranza delusa e una sconfitta dolorosa. Ci sto mettendo del tempo per farlo: una buona settimana dopo le elezioni israeliane. Un tempo tutt’altro che giornalistico ma non per niente questo blog l’ho chiamato Slow News. Tengo a precisare di non essere un giornalista obiettivo: le parole “obiettività” e “verità” dovrebbero essere bandite dai manuali di deontologia professionale perché non esistono in natura.
Al massimo posso tentare di essere un giornalista onesto. Così, terminata la copertura del servizio mi sono preso un paio di giorni di vacanza e sono sceso a Tel Aviv per liberarmi nella modernità di una città che ai miei occhi rappresenta l’Israele possibile – Israele che amo – , dalle scorie accumulate a Gerusalemme: la capitale tribale di troppi dei, gravata da troppa storia e da troppe ostilità per essere vivibile senza subire una mutazione involutiva. In realtà troppo bella perché possa appartenere a uomini normali.
Se al mestiere si è affezionati, il giornalista è come un pompiere o un carabiniere: poiché notizie, incendi e reati non hanno orario di apertura e di chiusura come le banche, sono lavori in potenziale servizio permanente. Così anche passeggiando per la spiaggia di Tel Aviv, andando alla piscina comunale Gordon (vasca scoperta da 50 metri, corsie e acqua di mare temperatura di marzo per nuotatori veri), ho continuato a pensare. Ho incontrato amici e chiacchierato con sconosciuti. Sono andato nei ristoranti dei nuovi chef creativi, affollati di giovani ricchi delle startup, abituati a non chiedere se il piatto è kosher. E ho passeggiato nel mercato popolare di Hatikvà, alla periferia Sud di Tel Aviv, dove i commercianti sefarditi espongono la foto del loro rabbino, e tutti sono tutti tifosi accesi di Netanyahu: una specie di Bibistan in territorio nemico.
Perché dunque Bibi ha vinto? La domanda era naturalmente al netto delle porcherie che Netanyahu ha fatto come sua abitudine per terrorizzare gli israeliani anche nel giorno stesso del voto: andate a votare perché gli arabi ci invaderanno, se vinco niente Stato palestinese, eccetera. Durante la campagna ero sceso a Te Aviv per assistere alla manifestazione delle destre in Piazza Rabin. Per riempirla erano stati portati in pullman dalle colline e dagli insediamenti nei Territori occupati, tutti i clan della tribù, dagli estremisti inconsapevoli ai razzisti armati. Dal palco sono state dette cose inenarrabili. Chiudendo gli occhi, sembrava di ascoltare i comizi di Salvini e di Marine Le Pen. E Bibi fra questa gente ci sguazzava.
Ma, insisto, tutto questo era previsto. Bibi invece ha preso voti da tanta gente diversa da quella: tutti i sondaggi dicono che il 60/70% degli israeliani è a favore della soluzione di pace che prevede uno Stato ebraico accanto a uno palestinese. La domanda dei sondaggisti è del tutto teorica e la risposta è come un messaggio in una bottiglia. La realtà concreta è invece un Medio Oriente caotico, al Qaeda nel Sinai egiziano, al Qaeda nel Golan siriano, Hamas a Gaza che spende quel poco che arriva in aiuti nella striscia, per costruire tunnel per la prossima stupida guerra.
Perché l’Isis dovrebbe fare paura solo a noi e non anche agli israeliani? Perché nella civilissima Francia la Le Pen prende il 25%? Perché nella mia amata Milano non meno civile della Francia il razzista Salvini rischia di essere il candidato sindaco del centro-destra, mentre invece in Israele Bibi dovrebbe perdere le elezioni?
Sia la stampa israeliana che noi, arrivati da fuori per raccontare, abbiamo commesso un peccato di presunzione, aspettandoci da Israele un’etica superiore alla nostra. La realtà è che Israele ha le armi e il cinismo accumulato da una storia di persecuzioni. E li usa. La realtà è che sono spaventati quanto noi e, se possibile, più di noi perché la loro minaccia – ammetterete – è più concreta della nostra. Dopo il voto, qui i giornali si chiedevano quale sarà la prossima guerra: di nuovo con Hamas, la rivincita con Hezbollah, una terza Intifada o una nuova di zecca con l’Iran?
Sono convinto che in ognuno di questi possibili conflitti, Israele abbia pesanti responsabilità. Ma se foste israeliani, voi come vi sareste comportati martedì scorso ai seggi? E’ per questo che Netanyahu ha rivinto le elezioni, per quanto io continui a credere che i suoi comportamenti metteranno ancor più in pericolo Israele.
“Israele, quali prospettive dopo le elezioni: nel Paese, in Medio Oriente, nel contesto internazionale”. Mercoledì 25 marzo ore 17.30, Facoltà di Scienze politiche, Università Statale di Milano, via Conservatorio 7. Intervengono Elisa Giunchi, Yossi Bar, Janichi Cingoli, Ugo Tramballi.