Nel XIII anno appena iniziato della Grande Guerra al Terrore, il conflitto ha di nuovo preso una piega “tradizionale”: bombardamenti dal cielo e dal mare e progressiva preparazione di un nuovo esercito capace di combattere sul campo il terrore il quale, per la prima volta, ha assunto la forma di uno stato con le sue forze armate, i suoi finanziamenti e agenti capaci di colpire anche all’estero.
La guerra è mondiale: è incominciata a New York, l’11 settembre del 2001. E’ proseguita in Afghanistan e continuata con ambizioni sbagliate in un posto sbagliato, l’Iraq di Saddam Hussein. E’ ritornata in Europa con gli attentati a Madrid e Londra e dopo l’illusione delle Primavere arabe, si è impantanata in Medio Oriente, in una serie di conflitti civili: l’equivalente locale della guerra di trincea del 1915.
Dobbiamo incominciare ad abituarci a questo stato di guerra lontana ma non lontanissima, visto che potrebbe di nuovo tornare nelle nostre città; non minacciosa al punto da mettere in pericolo il nostro sistema ma capace di faro con le nostre vite e la nostra fiducia nel futuro; non totale ma abbastanza subdola da far vacillare alcuni nostri valori come l’inclusività verso i diversi che ospitiamo.
Quando finirà? Nessuno lo può sapere. Il conflitto sarà certamente ancora lungo e rischia di aggravarsi drammaticamente a causa di due eventi: la successione all’ottuagenario re Abdullah in Arabia Saudita, che potrebbe destabilizzare un Paese strategicamente fondamentale; e il possibile fallimento della trattativa sul nucleare iraniano che potrebbe portare a una proliferazione atomica nella regione e a un intervento definitivo israeliano nella Guerra Mondiale al Terrore (che potremmo anche chiamare Guerra Mondiale Mediorientale).
Impossibile immaginare quando finirà. Ma ciò che serve per concluderla è abbastanza chiaro. Solo un sistema di sicurezza collettiva, simile a quelli europei della pace di Westfalia del 1648 o di Yalta del 1945, può porre fine al conflitto mediorientale ed eventualmente impedire che la sua fine non ne apra di nuovi. Perché questo accada occorrono Stati con frontiere riconosciute e, all’interno, sistemi capaci di garantire ai loro cittadini stabilità e benessere. Quello che il Medio Oriente contemporaneo non è mai stato. I colpi di stato a partire dagli anni Cinquanta e dall’Egitto, non avevano semplicemente portato al potere dei militari come nei golpe latino-americani. Hanno elevato una classe sociale impreparata al compito di governare. Sostituendosi a governi borghesi e a monarchi, i giovani militari scelsero il socialismo. I due campi della Guerra fredda mediorientale hanno così prodotto regimi totalitari repubblicani in divisa da un lato e monarchie assolute dall’altro. I primi senza alcuna legittimazione popolare; le seconde col tempo legittimate da affiliazioni religiose e tribali, contrarie a qualsiasi modernizzazione.
Così, quando l’Iraq si è ritrovato senza Saddam Hussein nel 2003 e sette anni dopo le Primavere hanno spazzato via altri dittatori (tutti presidenti, nessun re o emiro), ad eccezione di poche élites la società civile araba non aveva gli strumenti pratici e culturali per sperimentare modelli democratici simili ai nostri. Gli unici possibili, non ancora provati nell’epoca moderna, erano quelli religiosi: l’Islam politico. Il tentativo moderato dei Fratelli musulmani è stato spazzato via o ha dimostrato di non avere forza. E’ rimasto il modello radicale, assoluto e transnazionale: una comunità geopolitica di puri ancor meno rispondente alle diversità, delle frontiere nazionali imposte dal colonialismo europeo.
Per questo Westfalia è un esempio calzante. Cuius regio eius religio, a ogni Pese il suo re e ad ognuno la sua fede perché quello che lo legittima è essere uno Stato. Sapere cosa serve per finire la Grande Guerra non è dunque di grande conforto: il Medio Oriente è ancora lontanissimo dalla sua pace di Wesfalia che in Europa pose fine a una guerra durata trent’anni.