di Ugo Tramballi
Due diari rivoluzionari dei bloggers, quattro saggi fra cronaca e storia di autori italiani, sette di riflessioni sul tema: due soli di scrittori arabi. Tredici titoli in 10 mesi dall’inizio delle Primavere sull’altra sponda del Mediterraneo, è una media più che buona per l’editoria italiana. Non tutto entrerà nella Biblioteca di Alessandria ma è già un piccolo fenomeno.
Per la letteratura è ancora presto, i sentimenti hanno bisogno di più tempo per depositarsi e maturare. Prima di averne di vera bisogna aspettare almeno un altro anno. Ma all’ombra della Primavera è il romanzo arabo in quanto tale che vive una piccola rinascita italiana. Nel 2009 erano stati tradotti e pubblicati 12 titoli, 13 l’anno successivo. Nel 2011 ne sono usciti già 21 e altri quattro sono in programmazione entro la fine dell’anno. Ogni successo ha le sue controindicazioni. “Se trattiamo la letteratura araba come le altre, pensando che debba essere una lettura piacevole, il fenomeno sarà durevole”, ammonisce Elisabetta Bartuli, una delle principali traduttrici italiane della letteratura araba , fra cui le opere del libanese Elias Khuri. “Se il mercato vuole sfruttare l’onda della Primavera con scelte editoriali superficiali e traduzioni frettolose, l’interesse calerà ancora”. Il problema non è nuovo nel mercato editoriale sulla letteratura araba. Secondo Elisabetta Bartuli, dei 225 testi pubblicati a partire dal 1944, 53 traduttori hanno lavorato su un solo testo arabo e 15 ne hanno tradotti due. “Dallo spagnolo mediamente un traduttore lavora su 60 titoli – spiega Bartuli – La prima traduzione non è mai la migliore”.
A parte quella israeliana, la letteratura mediorientale ha sempre avuto un andamento fiacco in Italia. Solo 225 romanzi tradotti direttamente dall’arabo in 67 anni non sono una gran cosa. Fino al 1988 erano 12. Quello fu l’anno del primo e per ora unico Nobel mediorientale per la letteratura, all’egiziano Naguib Mahfouz. Da allora l’interesse è cresciuto ma in maniera lineare: mai meno di cinque, mai più di 10 opere l’anno. Fino al 2005 quando quell’edizione della Fiera di Francoforte fu dedicata alla letteratura araba. E’ da allora che si sono messe in moto le grandi case editrici che fanno la differenza.
La rivoluzione tunisina non è incominciata il 17 dicembre quando Mohammed Bouazizi si è dato fuoco per protesta contro il regime che gli negava qualsiasi futuro. I bloggers egiziani non sono nati d’improvviso il 25 gennaio in piazza Tahrir. Gli scrittori arabi e i social network registrano e raccontano i malesseri delle loro società civili da decenni, sfidando i regimi, la loro censura e quella ancora più pericolosa delle moschee . La differenza è che ora vengono ascoltati e letti di più in Occidente. “In realtà è ancora presto per registrare gli effetti reali sul mercato librario. Certamente c’è stato un nuovo interesse sulla stampa e questo dovrebbe avere delle conseguenze”, spiega Chiaristella Campanelli di Sirente, una piccola casa editrice abruzzese che ha aperto la collana Altriarabi, incominciando a cogliere i fermenti delle società dall’altra parte del Mediterraneo molto prima che esplodessero nelle piazze. Alla fine del 2008 Sirente aveva pubblicato, traducendolo dall’inglese, Taxi, originariamente scritto in vari dialetti egiziani da Khaled al-Khamissi: un successo editoriale internazionale anche se la trasformazione dei patois egiziani in napoletano e romanesco ha sollevato qualche critica fra i puristi. I titoli di Altriarabi usciti fino ad ora sono cinque, dovrebbero arrivare a sette entro l’anno. “Cerchiamo autori giovani e contemporanei che escano dai temi convenzionali della letteratura araba e dagli stereotipi; che non raccontino solo dei protagonisti delle Primavere ma anche i personaggi della periferia delle rivoluzioni”, spiega Chiaristella Campanelli.
In Medio Oriente il libro è un prodotto costoso e spesso politicamente complicato. Un’opera pubblicata in Libano, la capitale editoriale della regione, è quasi introvabile al Cairo o a Marrakech. Gli egiziani faticano a racimolare i soldi per comprare un’opera che viene da Beirut. Come i siriani e gli algerini, vivono di libri pirata, fotocopie di testi fotocopiati e i mercati sono in gran parte bacini nazionali: gli autori egiziani pubblicano e vendono in Egitto. Per questo l’industria editoriale araba è un business difficile: niente distribuzione regionale, mancano le statistiche di mercato perché i lettori non riescono ad essere un termometro reale di ciò che interessa. In queste condizioni, per le case editrici straniere è ancora più difficile fare una ricerca approfondita e trovare le opere migliori della letteratura araba.
Infine la censura. Le Primavere non sono ancora riuscire a scalfirla. In Egitto i tribunali militari non sono stati aboliti e la censura dell’Università islamica di al-Azhar è sempre un muro insormontabile: senza la sua approvazione, alle opere viene negato l’ingresso nella Biblioteca di Alessandria. In Giordania migliaia di copie in inglese dell’autobiografia di re Abdullah sono rimaste per settimane ferme alla dogana perché mancava il timbro dell’ufficio della censura, nella sede centrale della polizia di Amman. Perché anche questo finisca occorre che trascorra qualche altra primavera.