Sarà pure “l’inizio della fine di Putin”, come dice Boris Nemtsov, l’ex vice di Eltsin. Ma alla fine precipitare dal 70% circa al 50 non impedirà al suo partito Russia Unita di avere una maggioranza schiacciante alla Duma, di esprimere premier e governo, e di passare come forza democratica cooptando qualcun altro in una coalizione della quale sarà il dominatore incontrastato.
Né la sconfitta mette in discussione la vittoria di Vladimir Putin alle presidenziali di marzo. Se questo è l’inizio di una fine, prima che si sveli nella sua interezza Vladimir Vladimirovic avrà il tempo di governare per i sei anni di mandato, ricandidarsi e restare presidente per altri sei. Se dunque è una fine se ne riparla verso il 2024.
A me, tuttavia, non sembra che il punto di queste elezioni sia la caduta dei consensi per Russia Unita: qualsiasi altro partito al mondo firmerebbe per un 49,7. Ma sia piuttosto chi ci abbia guadagnato. Il panorama è sconfortante. Raddoppia il Partito comunista nella sua più banale e fallimentare versione sovietica (20% nonostante la Storia!); migliorano Russia Giusta e liberal-democratici. I nomi non ingannino. Il primo è un partito nazionalista- sciovinista; il secondo rappresenta il nazional-fascismo dell’imbarazzante Vladimir Zhirinovskij. Per arrivare alla prima forza politica decente, Yabloko, bisogna scendere al 5%. Se saranno rappresentati in parlamento, i democratici veri avranno un solo parlamentare e solo per grazia ricevuta dei vincitori: alla Duma c’è lo sbarramento al 7% ma il governo ha l’autorità di concedere un posto a chi arriva al 5.
Russia Unita, con l’aspirazione di assomigliare più al Pc cinese (liberale in economia, autoritario in politica) che a un partito democratico conservatore europeo, resta in fondo il migliore di tutti gli altri suoi concorrenti alla Duma. E questo spiega molto della Russia di oggi, legata alle sue risorse petrolifere e alla grandezza passata, fosse quella del Politburo o dello zar: non a un progetto futuro. Su “Internazionale” ho letto che 165mila russi hanno concorso alla lotteria per una green card ed emigrare in America. Diversamente da altri popoli, i russi non hanno mai amato andarsene: amano troppo la loro terra chiunque la governi. Se così tanti giovani russi sognano l’America, se Berlino e Tel Aviv sono diventate città russe, c’è qualcosa di sbagliato a casa, nella Grande Russia. (Non uso questa definizione per ironia ma per convinzione personale: ho speso in quel Paese quattro anni, fra i più intensi della mia vita. La Russia resta grande chiunque la governi).
La Russia di oggi è un po’ come l’Italia: un Paese senza un progetto e dunque senza futuro per i giovani. Quando gli è stato chiesto se sarebbe tornato in Russia a lavorare a Skolkovo, che Dmitrij Medvedev vorrebbe trasformare in una Silicon Valley, il Nobel Andre Geim ha risposto: “ne riparliamo alla prossima reincarnazione”. Sta benissimo all’Università di Manchester che lo ha messo nelle condizioni di diventare Nobel per la fisica. Come gli ebrei russi, emarginati in una Russia antisemita quanto l’Urss, diventati i protagonisti del fenomenale successo dell’Hi-tech israeliano.