Questo post è stato scritto circa un mese fa ma è stato recuperato solo ora dal mio vecchio computer, improvvisamente collassato e dato per morto. Come il replicante di Blade Runner, prima di spirare mi ha restituito la sua (e mia) memoria di mondi e guerre lontane. Anche se in ritardo, pubblico il post perchè credo che il tema svolto sia sempre di attualità.
Una volta tanto si è parlato di cose serie anche da noi. A Roma è stato presentato il rapporto introduttivo dell’annuario 2012 Iai/Ispi sulla politica estera italiana. Non fatevi ingannare dal titolo poco attraente: il dibattito che è seguito è stato interessante. L’Istituto affari internazionali di Roma (del quale sono membro ma questo non fa di me necessariamente un suo sacerdote) e l’Istituto per gli studi della politica internazionale di Milano, sono gli unici “serbatoi di cervelli” che abbiamo sulla materia.
Capisco che la materia – la politica estera – interessi poco e nel cicaleccio casalingo quello che, per esempio, dice Casini per cinque giorni di seguito abbia più spazio delle Primavere arabe. In fondo ciò che emerge dal rapporto è la conseguenza di questo.
In una stagione di crisi la politica estera non può brillare. Accade a ogni latitudine. Ma per noi il problema è più devastante, dicono Iai e Ispi. Storicamente spaventati da un declassamento internazionale, un “timore ragionevole”, tendiamo ad “ancorare” la nostra diplomazia ad alcuni pilastri: gli Stati Uniti, il multilateralismo, la Ue. Il problema è che quei pilastri non sono più così solidi. “Assumendosi direttamente l’onere di garantire l’ordine nei diversi contesti regionali, gli Stati Uniti ottengono il vantaggio di confermare la propria centralità politica e strategica, ma a rischio di correre incontro alla malattia mortale di tutte le potenze egemoniche, il disallineamento fra impegni e risorse”.
Alessandro Colombo dell’Ispi ed Ettore Greco dello Iai, gli autori del rapporto, fanno quello che un “think tank” deve fare e che quelli italiani, fatalmente finanziati dal potere, fanno raramente: il loro mestiere di accademici di qualità, indicando i problemi con brutalità neorealistica. E’ quello che Staffan de Mistura, sottosegretario agli Esteri, definisce brainstorming, confronto d’idee coraggioso e onesto. Fa presto a dirlo de Mistura, restituitoci dopo decenni al servizio dell’Onu: lui a queste cose c’era abituato. Tanti anni fa Indro Montanelli mi ricordava che da noi invece “prevale sempre l’ossequio”.
Alla crisi americana si unisce il disordine internazionale. “La crisi del multilateralismo indebolisce proprio quella” che era “la soluzione più fortunata alle tradizionali debolezze della politica estera” italiana: “l’incertezza sul proprio rango e ruolo, la non autosufficienza sul terreno della sicurezza, l’esitazione a riappropriarsi della grammatica dell’interesse nazionale”.
Infine l’Europa. “L’isolamento crescente in cui l’Italia si è ritrovata all’interno dell’Unione è conseguenza anche di una noncuranza autolesionistica per i meccanismi e le dinamiche del contesto europeo, di cui sono stati colpevolmente trascurati i vincoli ma anche le opportunità”.
Questo il senso del rapporto che presto Il Mulino pubblicherà per intero. Il fantasma di Banquo che volteggiava nella Sala Capitolare del Senato, dove si teneva il dibattito, era quello di Silvio Berlusconi. Qualcuno dice che ormai è troppo cheap buttargli la croce addosso. Io dico di no. Berlusconi è un prodotto italiano, ha potuto fare quello che ha fatto perché gli assomigliamo: altrove lo avrebbero fermato prima. Ma come per l’evasione fiscale alla quale ha dato una giustificazione politica, così per la diplomazia Berlusconi ha trasformato i difetti nazionali in una metastasi.
Ha sbeffeggiato l’Europa, l’ha ignorata pretendendo di fare una politica energetica in solitario. Le sue politiche personalistiche da satrapo centro-asiatico con George Bush, Vladimir Putin, Gheddafi, Mubarak hanno permesso qualche contratto in più in cambio della disistima globale e di una strada verso la credibilità ora in salita quanto il passo Stelvio al Giro d’Italia.
Nel dibattito seguito alla presentazione del rapporto Iai/Ispi, l’ambasciatore italiano “at large” per il Medio Oriente, Maurizio Massari, si è impegnato in una onesta e puntuale difesa della Farnesina. Ma non credo servisse perché alla sbarra non c’era la Farnesina. O non solo quella. In un Paese civile, moderno, con un chiaro senso dell’interesse nazionale e del suo posto nel mondo, la politica estera è un prodotto di sistema. Ci sono ambasciatori italiani che hanno impiegato un anno per capire cosa erano le Primavere arabe e quali nuove forze avevano liberato. E ce ne sono altri di grande qualità.
Ma non sarei onesto se fra le cause della nostra mediocrità internazionale non aggiungessi il modo in cui i giornali coprono gli Esteri. Come una nevrotica histoire événementielle : 10 pagine il giorno delle elezioni francesi, prima e dopo niente; italianizzando le vicende internazionali (il giudizio di Casini e di Bersani); oppure non scrivendo niente. Mai un’anticipazione, nessuna segnalazione sulle tendenze emergenti. Se non scoppia una guerra e non muoiono bambini, ci sono regioni del mondo delle quali non parliamo per mesi e mesi.
E che dire dei teorici e degli aedi del “Sistema Paese”, i nostri imprenditori (ai quali comunque i giornali offrono poca materia di documentazione)? Sono fra i più attivi a rifiutarsi di passare dalla teoria alla prassi. Presentando finalmente la sua nuova auto a Pechino, Marchionne ammetteva che Fiat arrivava in Cina con 30 anni di ritardo. Fosse ancora esistita la Trabant, ci sarebbe arrivata prima lei.
Della classe politica si è già detto: più autoreferenziale dei giornalisti e degli imprenditori. I militari meriterebbero un post a parte perché sono gli unici in controtendenza. Nel Sud del Libano il ritorno di un comandante italiano dell’Unifil è stato richiesto a furor di popolo: israeliani ed Hezbollah compresi.
Resta l’opinione pubblica, voi. Quando vi deciderete a fare sentire la vostra voce sul mondo, un tema strategico quanto le tasse e la crescita, per un Paese che voglia sentirsi coraggioso?