C’è un Paese bellissimo e non molto fortunato, in Medio Oriente. E’ a un passo dai giacimenti petroliferi più grandi che esistano ma dentro i suoi confini non ne ha quasi una goccia. Anche con l’acqua è messo molto male: è fra i cinque Paesi al mondo che ne hanno di meno. Del resto il 92% del suo territorio è sabbia del deserto. Ma in percentuale alla sua popolazione, è il più grande ospite di rifugiati che ci sia. Più del 60, forse il 70% dei suoi stessi cittadini sono profughi, figli o nipoti di profughi.
Povera in canna, la Giordania non ha mai detto no a nessuno. Non ha mai fatto ponti aerei in Sud Sudan per sloggiare qualche centinaio di africani, come ha fatto il ricco ed egoista Israele.
Non c’è frontiera verso la quale guardano i giordani che non sia un focolaio di problemi. Israele e palestinesi a Ovest, Iraq a Est, Siria a Nord. A Sud la frontiera saudita è tranquilla ma fino a non molti anni fa le cose non erano facili nemmeno laggiù: gli hashemiti erano i guardiani di Mecca e Medina, prima che gli al Saud li sloggiassero dalla penisola arabica.
Fra alti e bassi, per quasi 47 anni re Hussein ha navigato in queste sabbie tempestose mantenendo la Giordania sempre a galla. Riuscendo ad avere l’aiuto degli americani e di Saddam Hussein, degli israeliani (non tutti) e dei sauditi. Con meno perizia ma uguale coraggio, dal 1999 ci sta provando il figlio Abdullah.
Gli ultimi profughi ai quali la Giordania ha aperto le sue porte sono i siriani: più di 150mila. Ci sono ancora 450mila iracheni: durante la guerra del 2003 erano un milione. I giordani sono solo 6 milioni e mezzo. Diversamente dai siriani, non tutti i rifugiati iracheni erano poveri. Hanno costruito fino a mettere in pericolo la Giordania con una bolla immobiliare. Ci sono più grandi alberghi ad Amman che al Cairo.
Ma è quella palestinese la grande immigrazione. Ci sono state tre grandi ondate: nel 1948 quando Israele vinse quella che chiama guerra d’Indipendenza e gli arabi Nakba (la catastrofe); nel 1967 dopo la guerra dei Sei Giorni; nel 1991 quando il Kuwait espulse i palestinesi perché Arafat aveva sostenuto l’invasione di Saddam. Ogni volta la Giordania ha tenuto le sue porte spalancate, sapendo di compromettere la fragile economia e, ancora di più, le fondamenta nazionali.
Quelli giordani sono i palestinesi più liberi del mondo: hanno un passaporto, possono viaggiare, non hanno limiti di opportunità lavorative né di proprietà. In Libano è loro vietato possedere beni immobili e praticare 73 professioni. La maggioranza dei palestinesi di Giordania non vive più nei 13 vecchi campi profughi, un paio dei quali – unico caso nella regione –hanno ottenuto lo status di municipalità.
Ma politicamente sono cittadini di seconda classe. “Il presente passaporto giordano è concesso in base all’articolo 3 della legge sulla cittadinanza”, dice il documento per chiarire le origini palestinesi di chi lo possiede. Sono il 70% della popolazione ma nel Parlamento hanno meno deputati di quanti ne abbiano alla Knesset i palestinesi d’Israele che sono il 20. Una legge elettorale, compresa l’ultima riformata, impedisce a Fratelli musulmani e palestinesi – le due forze maggiori – di essere rappresentati come dovrebbero.
Fra poco ci saranno nuove elezioni e su questo la Giordania rischia lo scoppio della sua Primavera. Sono le grandi tribù beduine che hanno sempre sorretto la monarchia, a non volere le riforme. Nonostante il re spinga, rifiutano ogni ragionevole cambiamento. Vogliono mantenere il potere tribale che è anche un grande potere economico per niente inclusivo, nonostante la globalizzazione. Ma non hanno tutti i torti. Quella dei palestinesi sottintende la questione dell’identità nazionale: chi è transgiordano e chi giordano-palestinese. Senza risalire al 1970, al Settembre nero quando Arafat tentò un colpo di stato contro re Hussein, solo fino a pochi anni fa le forze politiche palestinesi e la sinistra giordana rifiutavano di riconoscere il re. Secondo un comune sentire israeliano, non bisogna restituire ai palestinesi i Territori occupati perché la Giordania è già Palestina.
I palestinesi che vivono a Est del Giordano non chiariranno a se stessi e al Paese che li ospita a quale Stato appartengono, fino a che a Ovest del fiume non nascerà la Palestina. Inventata da Winston Churchill in un posto sfortunato, la Giordania è l’effetto collaterale più evidente della questione fra israeliani e palestinesi, il più antico conflitto della regione. Gli analisti locali dicono che con le imminenti elezioni senza riforme, il Paese sia su un vulcano. E’ da più di 60 anni che la Giordania ci sta seduta sopra.