Loro sono più sorpresi e preoccupati di noi. E’ un altro punto di vista della vicenda, che sottopongo nel tentativo di capire le Primavere. Se l’improvvisa violenza degli estremisti ci ha colpito, ha colpito anche i nuovi governi arabi e le opinioni pubbliche che hanno partecipato alla rivolta per abbattere i vecchi regimi illiberali; se la determinazione dei salafiti ci spaventa, spaventa ancora di più loro che li hanno in casa.
Dopo le violenze della settimana scorsa noi dobbiamo solo decidere se continuare a fidarci, farlo con cautela o non fidarci affatto. Per loro invece è una questione di vita o di morte. In Egitto, Libia, Tunisia – i primi esempi del cambiamento completato – è stata la prima sfida alla loro autorità. La scoperta deludente che l’entusiasmo finisce e il consenso va coltivato con gli atti: governare non è più facile che lottare per conquistare il potere.
I salafiti che si sono così violentemente candidati a un contropotere religioso totalitario, sono musulmani come loro. Nel caso di Egitto e Tunisia, dove governano le fratellanze islamiche, sono anche compagni di fervore religioso e di percorsi politici. E’ difficile reprimere chi ha condiviso le celle del precedente regime.
La comune matrice religiosa imbarazza i nuovi governi, a volte li spinge a una tolleranza pericolosa. Un po’ come fu la prima reazione del Pci al nascente terrorismo rosso: compagni che sbagliavano. Ma sono chiaramente loro, i salafiti, l’ostacolo più arduo, il vero pericolo per stabilità, democrazia, crescita economica: da un lato si servono dei nuovi strumenti democratici, facendosi eleggere ed entrando nel sistema; dall’altro si connettono con gli obiettivi di al-Qaida.
Quando pensiamo al pericolo dell’estremismo islamico, ci riferiamo comprensibilmente a quanto sia minaccioso per noi, mai a quanto lo sia per gli arabi: gli altri arabi, quelli che venerdì sono stati a casa, coloro che avevano in vari modi sostenuto o partecipato alle Primavere e non a queste violenze. Gli arabi che avevano usato la testa per aprire e leggere blog, i piedi e il cuore per marciare in piazza e con entusiasmo erano andati a votare per la prima volta in elezioni vere. Cioè la grande maggioranza rispetto a quelli che con i volti paonazzi venerdì scorso sbraitavano e bruciavano bandiere americane di carta, eccitati dall’eccitazione delle telecamere che li riprendevano.
Non è il caso di tornare nelle piazze: i
bloggers che avevano iniziato tutto questo, ci sono rimasti troppo e ne sono
stati bruciati. E’ il caso di governare, di ricostruire, di partecipare, di
vigilare. Non è del tutto chiaro a quali società pensino i nuovi governi nati
dalla fratellanza islamica: ci sono segnali ancora contrastanti. Ma gli
avvenimenti della settimana scorsa hanno ridotto i loro tempi e accelerato
l’obbligo di svelarsi. E’ venuto il momento di scegliere.
Intristisce la scomparsa dei bloggers e dei
movimenti giovanili, senza i quali non sarebbe iniziato niente e senza i quali
ora sta accadendo tutto. Su di loro sono stati scritti articoli, saggi, libri;
girati servizi televisivi da prime time e documentari; c’è stato un breve tempo
in cui un convegno non poteva svolgersi senza un giovane blogger arabo,
possibilmente donna. Ora sembrano scomparsi: zitti, nessun ruolo nell’acceso e
a volte violento dibattito politico, praticamente irrilevanti. E’ come se si
fossero ritirati, offesi perché le cose sono andate diversamente da come
volevano. Una superficialità probabilmente contratta con il prolungato contatto
dei media internazionali.
P.S.
Shanà Tovà. Buon anno a tutti gli ebrei: a quelli che mi sono fratelli, agli amici,
a coloro che mi stimano e ai molti che mi detestano.