Quando una tregua è annunciata, smentita, promessa, lasciata intendere e poi rinviata, qualcosa di concreto deve bollire in pentola. Un paio di mesi di calma possono far comodo non solo alle nostre coscienze scioccate dalle immagini di Gaza. Servirebbe anche a Bibi Netanyahu e al suo governo di estremisti: i riflettori del mondo guarderebbero altrove. E converrebbero anche ad Hamas per riorganizzarsi.
Ma se il soggetto sono i due milioni di civili palestinesi di Gaza intrappolati fra Hamas e Israele, le loro condizioni, tregua o no, non cambierebbero molto. E’ certamente essenziale non essere bombardati per un po’. Ma i camion con gli aiuti umanitari riuscirebbero a entrare? E chi garantirebbe il necessario ordine nella distribuzione? Gaza Humanitarian Foundation, la ridicola organizzazione israelo-americana, che pretendeva di sfamare la gente a suo modo, è stata travolta dalla scena biblica di migliaia di affamati: quelle immagini hanno ulteriormente dimostrato quanto gravi siano le responsabilità di Netanyahu.
Ma anche se la tregua funzionasse e si trasformasse miracolosamente in una fine delle ostilità, i palestinesi di Gaza continuerebbero a vivere sotto tende strappate, negli anfratti delle loro case distrutte; senza acqua corrente né elettricità, con ospedali diroccati: senza essere bombardati ma nella medesima disperazione riguardo al futuro. Perché fino a che nella striscia comanda Hamas, nessuno investirà un dollaro per la sua ricostruzione: non sauditi e altri paesi arabi, non l’Europa o l’America. L’Onu potrebbe solo garantire alla popolazione un minimo di sopravvivenza.
Sono due le entità disumane – questo governo israeliano e Hamas – che alla fine perseguono scopi non molto dissimili: mantenere il potere. Il movimento islamico palestinese è un’organizzazione terroristica (sebbene sia sfortunatamente molto più di questo): fa il suo mestiere.
Proclamandosi unica democrazia del Medio Oriente, Israele dovrebbe comportarsi diversamente. Ma non lo fa: precipita con la sua spietatezza nel biasimo globale, chiamandolo antisemitismo. E’ la parola magica che, ne sono convinti gli israeliani e molti ebrei della diaspora, giustifica i comportamenti dello stato ebraico e dei suoi soldati.
L’invasione di migliaia di giovani estremisti israeliani nei vicoli dei quartieri arabi della vecchia Gerusalemme, l’altro giorno, ricordava un passato doloroso. Quello delle incursioni antisemite nelle comunità ebraiche dell’Europa orientale. Quei ragazzi estremisti, tutti vestiti allo stesso modo, in camicia bianca, così pieni di odio per chi non era come loro, sembravano dei piccoli cosacchi del Don.
Il 7 giugno 1967, in piena guerra dei Sei Giorni, Moshe Dayan aveva ordinato ai parà che avevano appena conquistato Gerusalemme, di togliere la bandiera d’Israele issata sulla Spianata del Tempio. Qualche giorno fa Itamar Ben Gvir, ministro razzista del governo, è salito con i suoi accoliti sulla Spianata con la volontà di provocare l’intero mondo islamico.
Nel 1982, durante l’invasione del Libano, l’esercito israeliano ebbe gravi complicità nel massacro in due campi profughi palestinesi a Beirut, Sabra e Chatila, compiuto dai falangisti cristiani. Per protestare contro le responsabilità del loro governo, 400mila israeliani scesero in piazza a Tel Aviv: più del 10% della popolazione d’allora.
Le manifestazioni di oggi non sono lontanamente paragonabili. Non solo per numero di persone, molto inferiore, ma anche per scopo: gli israeliani che vi partecipano, la parte più sensibile e democratica del paese, chiedono la liberazione della cinquantina di ostaggi, i vivi e i morti, ancora nelle mani di Hamas. E’ umanamente più che comprensibile. Per ottenerlo sono “addirittura” disposti a fare la pace con i terroristi: non per quello che le forze armate stanno facendo a due milioni di palestinesi ma per salvare i loro prigionieri. I pochi che hanno il coraggio di unire i due drammi sono insultati, ostracizzati, aggrediti. A volte arrestati dalla polizia. Vengono chiamati dalla maggioranza “ebrei che odiano gli ebrei”.
Non è dunque il mondo ad essere infettato da una nuova pandemia di uno dei peggiori virus prodotti dal genere umano: l’antisemitismo (sebbene qualcuno lo sia). E’ Israele che è pericolosamente cambiato, a sua volta aggredito da un altro agente patogeno: l’occupazione della terra di altri.