Cosa Donald Trump ha offerto e cosa Vladimir Putin ha preteso nella loro nuova conversazione? Che due nemici si parlino, qualsiasi cosa si dicano, è sempre una buona notizia. Ma cosa siano gli Stati Uniti oggi non è facilmente definibile: quanto meno sono avversari pieni di comprensione riguardo alle ambizioni russe. Fra Trump e Putin le affinità superano le differenze.
L’ipotesi circolata era che per convincere l’interlocutore ad accettare la tregua subito, Trump aveva intenzione di garantire a Putin la Crimea. Qualche europeo pessimista teme che nell’offerta ci sia anche Odessa: la penisola di Crimea è il gioiello della contesa ma la città portuale è il cordone ombelicale per la sopravvivenza economica ucraina.
In teoria non ci sarebbe nulla di male a parlare di Crimea. All’inizio di un negoziato le parti mettono sul tavolo tutte le loro aspettative: anche le più estreme, per poi recedere, facendo passare la concessione come una perdita incolmabile che necessita di una contropartita. Volodymyr Zelensky sa che i suoi soldati non libereranno mai la Crimea; Putin ha perso la speranza di arrivare militarmente a Kyiv: dopo tre anni di conflitto il suo esercito è più o meno sulle stesse linee della primavera 2022.
La realtà sul campo di battaglia non offre alternative diverse dal compromesso territoriale. Le frontiere non sono che linee artificiali ma quasi sempre disegnate dal sangue di due popoli. Tuttavia il vero nodo della trattativa, se e quando ce ne sarà una, non è la terra ma la politica: quali garanzie la piccola Ucraina avrebbe in caso di cessazione delle ostilità e poi di una pace duratura. L’adesione alla Nato, alla Ue, una forza europea di pace a garanzia dell’accordo, un esercito ucraino capace di garantire una deterrenza credibile? O niente di tutto questo, come vorrebbe Putin nella speranza di ottenere con l’interferenza politica di una volta, quello che non è stato capace di raggiungere con le armi.
Questo è il vero nodo della pace. Dopo l’incontro della settimana scorsa a Jeddah, in Arabia Saudita, il segretario di Stato Marco Rubio aveva spiegato che con gli ucraini aveva discusso solo “a cosa un processo negoziale dovrebbe assomigliare. Non sulle specifiche condizioni”. Nell’amministrazione Trump, Rubio sembra l’unico rimasto con una reminiscenza di vecchio internazionalismo repubblicano.
Come dice lui, quello che ora si dovrebbe cercare è una tregua, non la sostanza del negoziato. Nella guerra di Gaza i negoziatori internazionali avevano discusso con Hamas e israeliani – separatamente – tempi e modi di una tregua, non a quale pace si dovesse arrivare. Con Putin, invece, Donald Trump ha confuso i due obiettivi, trasformando la trattativa per una tregua in soluzione del conflitto.
Nella sua fondamentale imprevedibilità, Trump potrebbe dare delle amare sorprese anche alle parti che preferisce: Bibi Netanyahu in Medio Oriente, Putin in Europa. Ma è evidente che ha dei preferiti, che non è un “honest broker”, un mediatore equidistante. Politicamente, ideologicamente se si potesse ancora usare questo avverbio vetusto, la sua amministrazione ha molte caratteristiche comuni: per giustificare i tagli a Voice of America e Radio Martì che da decenni diffondevano democrazia dove non c’era, è stato affermato che erano emittenti “troppo radicali”. Netanyahu sta eliminando dalle istituzioni israeliane gli oppositori, sostituendoli con i suoi fedelissimi, come sta facendo Trump; il russo lo ha già fatto da anni.
Sia Hamas che il governo israeliano sono i responsabili del fallimento della tregua di Gaza. Ma Trump ha minacciato di scatenare un nuovo inferno solo sulle teste dei palestinesi (in larga parte civili). Le “sanzioni devastanti” promesse a Putin se rifiutasse la mediazione americana, sono senza artigli: l’economia russa è sopravvissuta a quelle attive da anni e non c’è nulla di più efficace che Trump possa fare per fermare le forniture energetiche russe a Cina, India e altri paesi del Global South. Il mondo sta cambiando a scapito dell’Occidente. E non c’è nulla che il presidente degli Stati Uniti voglia fare per impedirlo. Anzi, sta accelerando il processo.