Cambiare il Medio Oriente, la Grand Strategy di Bibi

In attesa della risposta israeliana alla risposta della risposta a una precedente risposta iraniana (machismo geopolitico), gli esperti si chiedono quando la guerra diventerà un conflitto regionale. E’ come parlare del sesso degli angeli, mentre Roma discute, Sagunto è espugnata: la guerra regionale è già in corso, sebbene ancora nella sua versione a relativa bassa intensità.

Il conflitto iniziato a Gaza è stato allargato a una buona parte del Medio Oriente l’8 ottobre dell’anno scorso, il giorno dopo l’attacco di Hamas. E’ quando Hassan Nasrallah decise di bombardare Israele. Dando un aiuto militare ad Hamas, credeva di rafforzare il ruolo di Hezbollah nella regione, invece gli è costata la vita. La sua decisione ha spinto l’Iran nel confronto diretto con Israele. Benjamin Netanyahu non aspettava altro.

Sarà la risposta israeliana ai missili lanciati martedì da Teheran a determinare se il conflitto resterà limitato o non avrà ostacoli. L’amministrazione Biden sostiene la risposta israeliana ma invita a una reazione moderata: come le volte precedenti, teme non sarà ascoltata.

Il futuro non è nella mani della superpotenza americana, non della diplomazia internazionale, ancor meno delle risoluzioni Onu. Decide Bibi Netanyahu e i segnali non sono confortanti. Nel discorso alle Nazioni Unite il premier israeliano, mostrando le sue mappe, una volta di più aveva indicato l’origine di tutto il male del mondo: l’Iran. Qualche giorno più tardi si era rivolto al popolo iraniano, assicurandolo che la liberazione dal regime religioso e militare che lo opprime, è imminente.

Sembra il prologo di un progetto regionale, di una Grand Strategy: non solo eliminare Hamas e Hezbollah ma anche l’Iran della rivoluzione khomeinista, coalizzando Israele con un fronte arabo-sunnita guidato dall’Arabia Saudita e dagli altri paesi arabi già in pace.

E’ un progetto superbo, forse più dissennata ambizione che lungimiranza politica. Ma svela alcuni tabù arabi. Rimanendo silenziosi, in attesa degli eventi, egiziani, giordani, i paesi del Golfo e soprattutto la maggioranza dei libanesi delle altre confessioni, l’ambizione d’Israele è in qualche modo anche la loro speranza. Più di ogni altro paese, è il Libano ad essere vittima di Hezbollah, dell’Iran e delle loro bellicose agende regionali che ricalcano lo scisma millenario fra sciiti e sunniti.

L’asse fra Israele e Arabia Saudita, fra le tecnologie del primo e la ricchezza del secondo, potrebbero trasformare il Medio Oriente. E’ in fondo il piano di pace di Joe Biden: il riconoscimento dell’esistenza dello stato ebraico da parte del più importante dei paesi arabi, destinato ad essere la loro guida nel XXI secolo.

L’inclusione di Israele nella regione è sempre stato il nodo fra caos e stabilità, pace e guerra nella regione. Insieme, tuttavia, a una seconda questione, strettamente legata alla prima: la nascita di uno stato palestinese. E’ qui che la Grand Strategy di Netanyahu si ferma. Le sue mappe mostrate all’Onu non indicavano Gaza e Cisgiordania ma solo una Grande Israele.

Nella sua convinzione di essere libero di agire – almeno fino all’insediamento del prossimo presidente americano – Netanyahu pensa di realizzare il suo piano senza pagare il prezzo richiesto. Con questo, mantenendo in vita il suo governo di annessionisti nazional-religiosi.

In realtà neanche i leader arabi amano i palestinesi. Nel disperato esodo dalla loro terra, i palestinesi hanno destabilizzato più di un paese, pretendendo che tutti dovessero partecipare alla loro lotta di liberazione. Il loro terrorismo non colpiva solo Israele.

E’ un altro tabù arabo che Netanyahu conta di abbattere ma che i suoi interlocutori non possono abbandonare: soprattutto dopo che Israele ha dispiegato la sua forza con tutta la brutalità possibile a Gaza e fra i libanesi. Se lo facessero, i loro sudditi si ribellerebbero. Niente grandi disegni senza uno stato palestinese.

Intanto nel mondo reale al quale Netanyahu sembra non dare peso, si continua a combattere a Gaza e in Libano. Otto soldati israeliani fra i 20 e i 23 anni sono stati uccisi nel Sud del Libano dai guerriglieri sciiti. Hamas ed Hezbollah non sono stati sconfitti.

 

 

  • habsb |

    E’ erratissimo credere che i destini del Medio Oriente siano nelle mani di Netanyahu.
    I destini del Medio Oriente sono nelle mani di chi gli fornisce armi per miliardi, e informazioni dei satelliti. Basterebbe alla NATO creare una no-fly zone su Israele e Libano e una vera forza militare di interposizione in Libano e Cisgiordania perchè non vi sia un solo morto di più.

    Ma gli atti di Israele sono esattamente quelli ordinati dalla Casa Bianca, che pubblicamente invita alla moderazione, e frattanto invia ogni anno a Tel Aviv armi per miliardi.
    Lo stato palestinese è riconosciuto da 147 nazioni su 195 e il 10 maggio 2024 l’assemblea generale dell’ONU ha raccomandato a gran maggioranza l’ammissione all’ONU come membro a pieno diritto.

  Post Precedente